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I cerchi e le Tre Grazie

La Metamorfosi è spiegata attraverso la deformabilità del cerchio. La comprimibilità del cerchio che non ha angoli ispira i processi di trasformazione ed elevazione nelle stesse forme di vita. Il cerchio essendo immagine eloquente di perfezione e armonia, raccorda tutte le forme di spiritualità, da quelle superiori a quelle sotterranee, degli Inferi.
Attraverso il passaggio dell'Oltretomba, le energie del basso confluiscono in quelle del cielo. Ragion per cui le figure del regno ctonio assurgono al titolo sovrano di divinità. Possiamo definirlo un canale energetico quello che si crea nel regno dei morti, tale da consentire alle anime pure di risorgere nella luce.
Il concetto di purezza prevede a monte quello di armonia ed è su questo che insiste la filosofia orientale. È puro ciò che non presenta spigoli e consente alla luce dell'anima di non rimanere intrappolata nelle zone d'ombra. Il cerchio allora si ritrova nel fiocco di neve che precipita rivestendo il mondo di levità. In questo passaggio si concentra l'incontro tra il mondo classico e quello orientale e nello specifico cinese e nipponico.
Il Rinascimento recupera questo concetto e lo riflette sulle Tre Grazie espressione antropica del concetto di armonia legato alle tre fasi della donna. Il filo tessuto dalle Parche è in rapporto alle Grazie il filo sottile che unisce le tre età. Alla triade femminile spetta il compito di lasciarlo fluire morbidamente senza lasciarsi intrappolare da esso. La misura allora sta nella capacità di vivere al meglio ogni fascia di età in modo da apprenderne la relativa saggezza. La donna è colei che per nascita è contraddistinta dal fattore armonia e a lei spetta il compito di tramandarlo e preservarne la luce nel mondo. Il gioco dei cerchi che si diffonde già nel Medioevo trova terreno fertile in Età Rinascimentale divenendone quasi l'effigie. Dal Seicento verrà appresa la levità con cui le gambe delle donne si muovono al suono del minuetto che diventerà il vessillo di un'epoca in cui l'opulenza tende a nascondere e a riservare a pochi eletti il valore della sostanza.

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Inverno e Inferno, attinenze e luoghi misteriosi

Tutto ciò che nasce e proviene dal cielo è puro e la purezza è un attributo del Sacro. Il termine "nuovo" in rapporto al cielo è un indizio di purezza. Il Cristo Risorto e lo Spirito Santo infondono un cuore nuovo nell'umanità credente.
Abbiamo visto il significato di Ostia quale cibo di salvezza in relazione al sole allo zenith ma anche alla luna in rapporto alla Chiesa e all'impostazione rituale del culto cristiano. L'ostia in quanto non lievitata è l'equivalente del pane azzimo della Pasqua ebraica, e per i Cristiani è quindi simbolo del passaggio alla vita eterna. L'ostia parimenti al fiocco di neve è bianca e pura, non contaminata, ma al contrario del fiocco di neve conduce dal basso verso l'alto.
Dobbiamo riportarci al fatto che per gli antichi ogni evento naturale e atmosferico avevano radice in Dio. La neve la ritroviamo negli antichi Salmi in riferimento alla sua purezza e in quanto cibo di salvezza è rappresentata dalla manna che discende dal cielo in morbide sfoglie. Manna dall'ebraico "man" che significa "che cos'è?" ripropone nel nome la domanda che si posero gli Ebrei durante l'Esodo, vedendola cadere dal Cielo.
Tutto ciò che nasce avviene per tramite di una condizione di interno e profondità e ciò vale anche per il Cielo. È quanto ci riconsegna la stagione dell'inverno che nel nome contiene i riferimenti a una condizione di ibernazione e di sospensione. Quindi di attesa. Tutto in inverno sembra tacere in una morte apparente sotto la coltre della neve che ha la funzione di un grembo immacolato che protegge la vita al suo interno.
Ciò che è all'interno corrisponde a quanto è in profondità e l'inverno in questo si raccorda all'inferno che rimanda a quanto giace in profondità, sottoterra.
Ciò che giace all'interno introduce al mistero indagabile da alcuni culti iniziatici.
Nel mondo esistono diversi luoghi detti "porta dell'Inferno". Tra questi spiccano i siti vulcanici sede di antichi riti legati alla Terra. Molti dei vulcani contraddistinti da miti e leggende che li vedrebbero canali di collegamento col ragno dei defunti hanno visto nel tempo la formazione di laghi all'interno dei crateri. L'acqua di questi laghi particolarmente melmosa e ricca di metalli e minerali varierebbe a seconda dell'inclinazione dei raggi solari e delle stagioni. Proprio su questi laghi particolarmente suggestivi nei millenni sono fiorite storie e leggende che ancora sopravvivono nella spiritualità della popolazione. Il nome è un indizio che trasferisce nel mistero di questi siti dal particolare interesse non solo geologico ma anche paesaggistico e antropologico e proprio attraverso questi racconti popolari che si tramandano da sempre è stato possibile ricostruire le tappe delle varie culture che lì si sono avvicendate e incrociate.
I riferimenti all'inverno come stagione della morte apparente e ibernazione e all'inferno (luogo del sotterraneo) a cui si corrisponde non solo nell'assonanza, caratterizzano due tra i siti più affascinanti d'Europa. Il primo è il lago d'Averno nel comune di Pozzuoli e l'altro corrisponde alla regione francese dell'Alvernia, una terra antichissima cosparsa di vulcani spenti e ricca di tradizioni che vedono anche la compresenza di miti e leggende celtiche. Entrambi i nomi Averno e Alvernia contengono riferimenti all'inverno e all'inferno. A proposito della regione francese, di particolare interesse è il lago Pavin che dà il nome a un particolare formaggio, il Pavin appunto. Questo lago dai colori cangianti si dice essere popolato di strane creature che risalendo dal fondale invisibile infesterebbero i vasti boschi limitrofi.

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L'inverno e il parto della neve

Neve tra le parole più semplici, apre a diversi dibattiti interpretativi. Spesso viene ricondotta ad "umido" di cui ne conserverebbe il carattere la traduzione in greco. Però, a ben guardare, "umido" si ricondurrebbe a una dimensione propria che identifica "neve" con l'integrità di ciò che è nuovo, immacolato. L'immacolatezza è proprio il carattere che più di tutti sovviene in relazione alla neve. Il suo candore che si rende poesia palpabile e anche quando il fiocco si è sciolto, ne resta l'impronta di un carezzevole velo che plana sull'anima.
Non svanisce mai quanto rimane dentro e quello stato di inviolabile purezza che associamo al bianco Natale. La neve ci porta a riscoprire la poesia dell'essenza che si rende essenziale nella sua vulnerabilità, infondendo sentimenti di tenerezza. È il vestito dell'inverno col freddo che fortifica prima di arrendersi al brusio di vita della primavera. È la vita che sorge e lavora dall'interno di ogni cosa, spingendoci a diventare più forti e allo stesso tempo pazienti al punto giusto da accogliere le gioie che arrivano nel tempo stabilito.
Ogni cosa parte da dentro e ciò è quanto ci insegna l'esperienza del parto anche in relazione all'inverno che congiunge il manto terrestre col manto celeste dando vita a un mondo tutto uguale di cui gli alberi ignudi sono i silenziosi guardiani.
In tale prospettiva la neve è il parto dell'inverno, un vecchio dall'aspetto regale, la versione solenne e austera di Babbo Natale. Il generale Inverno ha il suo lato dolce che esprime con la neve, la creatura pura che ci fa visita di anno in anno. Dolce poesia che profuma di nuovo e di ingenuità perché assente agli intrallazzi del mondo. Il carattere "ingenuo" legato alla neve lo ritroviamo in "naive" l'arte che sposa l'infanzia del cuore.

Pignola, Basilicata. Di Andrea Trivigno

La fecondità dell'arcano e il contadino apprendista. La timugna

Matuta significherebbe anche "matura", ossia fertile. Per fertilità dobbiamo intendere la condizione della donna ancestrale di sapersi sbilanciare nel futuro con una progettualità che abbracciasse ogni dimensione, da quella materna a quella evoluzionistica in senso lato. La selezione delle erbe e dei frutti che avviene nel Neolitico a transizione compiuta dal Paleolitico, consente di operare a livello mentale una cernita che si svilupperà nel tempo anche in campo estetico, e che avrà ripercussioni in positivo nella realizzazione dei primi edifici in pietra e in fango. La flessibilità degli steli comporta una visione altra e più organizzata dell'ambiente domestico che viene strutturato in modo sempre più aderente alle esigenze dell'uomo. L'affastellamento delle spighe orienterà la disposizione delle pietre e questa è una ragione valida per ritenere la donna nella sua attiva maturità alla base della tradizione muratoria.
La spremitura è all'origine dell'evoluzione che non riguarda solo il legame tra lattante e seno materno ma tutta l'organizzazione primitiva della società rurale. La spremitura rende possibile la separazione della parte solida dal liquido presenti in ogni materia prima vegetale e anche nei cereali che, tritati, rilasciano la loro parte oleosa, anche se in minima quantità. All'origine della figura del mugnaio c'è proprio il discorso della spremitura per la maggiore rappresenta proprio dalla mungitura, la prima azione compiuta dal mammifero che si nutre del seno materno parimenti a un essere adulto che si avvicini a un albero e si nutra del suo frutto. O come l'assetato che si abbeveri direttamente alla fonte.
Quando nasciamo, il rapporto neonato madre è lo stesso dei coglitori dei primordi che noi ritroviamo nella dimensione di luminoso equilibrio della vita nell'Eden. Lì non esistevano sforzo né impegno, né fatica e tutto scorreva spontaneo e semplice. La mamma è l'Eden, il neonato è l'uomo che riflette Dio. Capiamo pertanto il valore assoluto che è stato trasferito successivamente nella dea Madre responsabile di ogni passo compiuto dall'uomo e ispiratrice di ogni intelligenza, inclusa quella dell'adattamento alla realtà fisica e territoriale dell'uomo. Dalla memoria arcana costui ha ricavato il primo esempio di costruzione ispiratogli dalla prima fonte di sostentamento che è il seno materno. Il termine "mugnaio" in rapporto all'accumulo delle farine e della conseguente produzione dei loro derivati come pane e focacce, viene proprio da "mungere". Spogliare la spiga dei chicchi equivale a mungere e quella di macinare il grano è un'operazione simile a quella che avviene all'interno della mammella nella produzione del latte materno. Il mugnaio svolge apertamente quanto avviene chiuso nel suo mistero all'interno del corpo materno. La stalla e il pagliaio fatti di paglia onorano la figura della madre che regola ogni processo che avviene nella natura. Disgiungere il mondo agricolo da quello della pastorizia è quindi un errore. Siamo cresciuti anticamente con entrambi. L'osservazione del mondo animale non ha fatto altro che rafforzare il legame tra uomo e terra, uomo e cereali. La scelta di costruire capanne e fienili di forma conica non è casuale. Risponde all'esigenza recondita di venerare la maternità quale dimensione della primordialita'.
La tradizione dei pagliai di forma conica era molto diffusa fino a qualche decennio fa in tutta l'Italia meridionale e in Calabria dove i paesaggi rurali in estate apparivano punteggiati di timugne. La timugna dalla forma di mammella era il capanno del contadino che lì riponeva i suoi attrezzi, immergendosi in un mistero arcano rafforzato dalla condizione di ombra che all'interno regnava di contro alla calura esterna.
Era come se si rintanasse nella notte divenendone sacerdote apprendista. "Timugna" significherebbe alla luce di quanto detto "Ti mungo". Agli occhi di chi osservava dall'esterno, il contadino che entrava nel capanno dava l'impressione di carpire, svanendo in una oscura eternità, i segreti dell'origine del mondo riassorbito in una condizione di ritorno all'indistinto che rende la madre un tutt'uno col figlio poppante. Un miraggio all'indietro che, rotto l'incantesimo del contadino che riemerge dal suo arcano luogo, sarebbe svanito.

 

 

Di Domenico Laghezza. A proposito dell'articolo La timugna. Sopra.

La coglitura e la moneta nell'idea di passaggio

"Tuppo" significa "sommità" e lo ritroviamo nell'inglese "top", così come in altri nostri termini come "toppa" che copre uno strappo o una lacerazione del tessuto. Questo conferma l'attinenza ancestrale tra i capelli e la coglitura già nel primo Neolitico. Dalla radice di Tuppo deriva anche "tappo" con la funzione di coprire e chiudere la sommità di un recipiente.
Quanto si coglie non sempre è utile. Cogliere è una derivazione di "Colere" dagli svariati significati, tra questi "venerare". La coglitura è stata alla base del sistema produttivo agricolo che è necessariamente passato attraverso l'esperienza anche mortale dell'uomo che ha dovuto attraverso sé stesso con l'ingerimento selezionare i prodotti spontanei della terra. Questo processo è andato di pari passo con quello coglitura allo scopo di abbellire con sentimento devozionale are, statuine di veneri e tombe. Ciò nella speranza che la divinità rispondesse, assicurando salute e benessere al devoto e alla sua famiglia, nonché alla sua comunità.
Il carattere di "ritorno" consequenziale all'opera di adorazione compiuta lo ritroviamo in alcune regioni del Sud Italia, nonché in Calabria, qui nell'espressione "ricogliersi ara casa" che in un territorio accidentato come quello calabrese risuona di un effetto beneaugurante che è quello proprio di fare ritorno a casa (sano e salvo).
Sono tanti i siti cosparsi lungo tutta la regione risalenti al passaggio dal Paleolitico al Neolitico, dove sono stati ritrovate tombe con monete votive e testimonianze come urne funerarie. La moneta da Moneo: Avvertire come anche Consigliare ci pone in contatto col primitivo significato della moneta che era a scopo beneaugurante. Nella tomba venivano difatto inserite nei primi esempi di corredo funerario monetine di metallo, allo scopo di assicurare una benevola accoglienza da parte delle divinità dell'oltretomba.
Nelle civiltà del primo Neolitico, la dea Madre era anche colei che accoglieva i defunti nell'oltretomba. Moneta, l'altro nome di Giunone, col significato di "colei che avverte, consiglia e accoglie" rimanda a questa funzione. Ciò lascia intuire la fede in una vita oltre la morte per i più meritevoli e questa intuizione deriva per gli antichi Romani dalla figura ancestrale di Mater Matuta, la divinità della fertilità che governa tutti i regni e alla quale si riconducono tutte le divinità della tradizione latina, poi scansionate nelle loro diverse funzioni.

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Il seducente mondo della donzella e il declino dell'aristocrazia. Da Manzoni a Fogazzaro

La semplicità come qualità dell'umiltà è uno dei temi centrali de "I promessi sposi" e, per quanto trainante nella trama dei romanzi ottocenteschi, il Manzoni lo fa rientrare nell'ambientazione del Seicento. La "ius prime noctis" di tradizione medievale e ahimè perpetrata nei secoli da una certa nobiltà che ha costruito il suo potere sull'oppressione degli ultimi, ha continuato a tramandarsi nello specifico nelle aree più represse del Meridione con la figura del massaro e con le baronie filoborboniche. Il merito del Manzoni è quello di aver portato alla ribalta seppur con lo stile e il garbo che si addicono a un grande narratore, un tema vergognosamente attuale ai suoi tempi e di forte ostacolo ai tentativi di ammodernamento della società, in cui lui credeva e a cui ha fortemente contribuito.
La donzelletta leopardiana rende l'idea non della giovinetta frivola di palazzo, ma dell'allegra spensieratezza che accompagna il rientro prima del dì di festa della sbarazzina campagnola. Il mondo della Natura è un tutt'uno magnifico, il concentrato visibile di un'anima sola ripartita nei suoi singoli componenti che appaiono riuniti come in un'unica famiglia. È questa l'idea della campagna lavoratrice che ci ha tramandato la cultura sensibile dell'Ottocento, scucendoci un forte affetto nostalgico e una sana commozione al pensiero di un mondo ormai estinto e che qualcuno al tempo d'oggi tenta disperatamente di riportare in vita.
La donzelletta freme della giovanile gioia che caratterizza tutte le giovani creature che vanno incontro alla vita come fosse un arcipelago di lidi azzurri. C'è la speranza e l'attesa di quelle tappe semplici che colmavano di luce il cuore di ogni donna. Il primo sguardo, il primo incontro, una lunga schiera di baci sul muricciolo al canto dei grilli nelle serate di luna piena e poi, l'abito bianco e il fatidico sì.
La speranza era questo e glielo si leggeva negli occhi affascinati dalle storie di sorelle e amiche più grandi che riferivano in modo fantasioso le loro più intime confidenze.
Le movenze di danza delle giovani contadine, regine festose dei campi componevano l'immaginario di una seducenza antica che si rintracciava nelle antiche dee agresti, miraggio degli uomini incantatori e seduttori. Il mito di Diana e Atteone ripropone l'istinto maschile del cacciatore che cerca l'inafferrabile e non si da' pace finché non l'avrà ottenuto, pur finendo nel mito distrutto.
Cosa spingeva il giovane rampollo nobile a rapire e stuprare una vergine agreste? Sentirla palpitare e fremere come un cerbiatto braccato, avvertire sotto i polpastrelli il pulsare della vita genuina e calda. Più di tutto era il desiderio di lasciar scorrere nelle vene tracce di una spontaneità usurpata con violenza e rabbia perché mai posseduta. Questo coincide con quanto realmente accadeva una volta ai bordi del mondo racchiuso e vivace della campagna.
La "Ius prime noctis", lo stupro di una giovinetta semplice e integra quale un bocciolo di rosa che sorride al sole madido di rugiada, significavano prendere con forza ciò che a chi credeva di possedere tutto, il destino aveva negato. E destino e natura all'interno della ricca proprietà coincidevano.
Il nobile ottocentesco era l'escluso. Colui che poteva limitarsi a guardare dalla cornice del riquadro della finestra quanto spontaneamente avveniva nel mondo della Natura dove nella durezza dei giorni vissuti con intenso lavoro la lietezza non si arrendeva mai e sempre si levava col giorno un canto di donne da in fondo alle distese di grano o dai rami grondanti degli ulivi. Nulla a che vedere con le costruite suonate al piano accompagnate dal soprano di turno nei salotti delle piccole corti di palazzo, o con le voci nutrite di compostezza e di educazione affettata delle dame che venivano di volta in volta introdotte dalle famiglie alle importanti feste su invito. Lì si poteva scegliere e ottenere facilmente l'accondiscendenza, così come avvicinare le proprie simili per convenienza, in un mondo immobile che si riciclava di continuo in un teatrino da pari a pari, dove non era necessario usare la forza e dare sfogo alla bestialità repressa.
La violenza accadeva ed era la normalità alle giovani braccianti o operaie delle aziende di campagna. E laddove certi episodi non erano guidati dalla tracotanza del ricco possidente, erano la conseguenza del malinconico epilogo della civiltà aristocratica che avrebbe ceduto da lì a poco lo scettro alla sopraggiunta borghesia che andava organizzandosi in capitalismo. Fogazzaro nel suo romanzo "Piccolo mondo antico" da' voce a una nuova realtà in cui per tramite dei sentimenti il ceto aristocratico e quello popolano vanno intrecciandosi e seppur tra mille difficoltà, riescono a trovare l'intesa. Per l'autore che riporta la vicenda agli anni difficili dell'unificazione nazionale e della nascita della nostra Italia, il piccolo mondo antico è quello sempre più ristretto e isolato dell'aristocrazia e dei suoi ultimi baluardi restii ad abdicare alla nuova configurazione sociale. È un mondo che finisce e svanisce, rappresentato dallo zio del protagonista che muore su una panchina.
Gli abusi sugli ultimi non sibestingyeranno col finire dell'Ottocento. Proseguiranno e varcheranno la soglia dell'era contemporanea, attualizzandosi attraverso il caporalato. Donne sottomesse e violentate, giovani sfruttati... non è crollata l'aristocrazia impavida, ha semplicemente mutato aspetto nascondendosi nel rozzo contadino possidente o nel giovane imprenditore titolare di una piccola azienda. Cambiando volto, la storia si ripete.

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Il Corpo e l'Arte nella trama di interazioni

Abbiamo visto da dove deriva il termine "corpo", andremo ora a verificare il significato del corrispondente etimo in greco "soma somatos." Il termine "soma" si usava in agricoltura in riferimento a "bestie da soma" e già introduce al significato di soma e per traslato di corpo inerente alla parte solida. Ciò che è fisico ha un suo volume e un suo peso, ed è quanto definisce la materia. Per traslato la radice "soma" la ritroviamo anche nell'inglese "tomato: pomodoro" sulla base della compattezza dell'ortaggio, nonostante comprenda una parte di acqua. Il corpo con "soma" appare come una realtà definita. Il soma è l'oggetto da indagare nella sua storia che presenta una composizione di relazione tra i singoli elementi che lo definiscono, dai più ai meno visibili. La storia o racconto interno di un corpo è la narrazione intrecciata di tutti i meccanismi e le relazioni che intercorrono tra i suoi vari componenti a livello cellulare e molecolare. Il racconto per come lo conosciamo attraverso la sua struttura articolata, parte proprio dalla visitazione della Natura e della sua interpretazione come di un insieme che contiene singole parti tra loro connesse.
La vita per come la intendiamo nello sviluppo nel tempo di un organismo, trae ispirazione dal mondo della Natura. La vita è una ma quest'una rapportata ad ogni singolo corpo è l' incastro di tante altre vite, ciascuna con proprie funzioni e definizioni. Su questi principi si baserà la differenziazione tra Determinismo e Creazionismo che contempla l'esistenza a monte di un principio che ha regalato e regola ogni processo in natura e nel Cosmo.
Anche nell'Arte il concetto di corpo riflette l'assieme di relazioni con lo sfondo e i soggetti in secondo piano. Anche nel caso del ritratto che vede in primo piano un unico soggetto non manca il discorso delle relazioni. L'Arte è la trasposizione della vita e delle sue trame con il particolare aggiunto al riguardo verso la cura della Bellezza. È il completamento attuato dall'uomo alla realtà e tramite questa finalità di completamento l'uomo arricchisce la realtà di preziosi elementi che vanno a integrarsi con essa e a completarla secondo il sentire dell'artista. Tutto è comunicazione anche nel silenzio, e quanto in un'opera ci appare disgiunto o elevato dal mondo, ha una trama di rapporti segreti che culminano con la comunicazione col mondo dell'osservatore.
L'Arte si affina sulla base di tutti questi concetti sopra illustrati con l'intervento nella storia dell'uomo della cultura agricola che universalizza la percezione uomo ambiente, salvaguardando il valore del singolo e dando luogo alla doppia identità, e individuale e comunitaria, in stretta relazione tra loro.

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Venezia e il sospiro di Venere

Il nome di Venere dea della passione amorosa e della bellezza, ci immette in un dedalo di svariati significati davvero affascinanti. Come a sottendere che la strada della bellezza e dell'amore ci guidi nel tempio sacro dell'Universo dalle svariate vie. La bellezza regna per diritto sovrano ed è inspiegabile perché ci coglie sul piano emozionale e animico. Venere è la dea dell'inspiegabile che però trova riscontro nella suggestione di determinati luoghi che sembrano parlare al cuore dei più sensibili. È altresì curioso come la dea Venere da stimolare l'elevazione tramite l'incanto della Bellezza, sia proprio colei che seduce morbosamente, rendendoci succubi dei piaceri della carne.
L'attivita' di caccia viene chiamata anche "venatoria" e non perché entri nel sangue ma perché anticamente era condotta in gruppo con i singoli cacciatori che a seconda del tipo di preda si sparpagliavano lungo diverse piste. "Ramificazione" come termine richiama a un territorio cosparso di vie d'acqua che rende l'albero matrice di una serie di riecheggiamenti simbolici e metaforici. In "albero" ritroviamo l'impronta ancestrale dell'albero cosmico al principio dell'Universo come ripartizione delle diverse forme di vita ciascuna secondo una sua direzione.
Se l'uovo cosmico introduce all'origine di tutto, l'albero cosmico ci parla della dispersione non come dissolvimento ma come sparpagliamento necessario alla fertilità della vita. L'albero antico e maestoso è il patriarca dalle cui fronde prendono il via famiglie di uccelli. L'albero è lo Sciamano e il Maestro che avvia a un nuovo percorso della Verità. È Gesù che disse ai suoi apostoli "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo" e che venne flagellato al palo simbolo di morte.
I corsi d'acqua sono il sistema sanguigno di un territorio che ne assicura la fertilità. Venezia e Veneto traggono nei nomi ispirazione da questa corrispondenza. L'acqua è tumulto e passione e anche laddove sembra ristagnare porta vivacità e passione per la vita. La seduzione di Venezia resa effettiva dalle espressioni artistiche che la percorrono e le corrispondono è un'ode all'acqua e alla sua maestria. L'acqua è cambiamento e riconduzione all'identità e l'acqua è il veicolo misterioso che unisce Venezia al Carnevale nelle sue espressioni di straordinaria magnificenza che riflettono le pieghe e i colori cangianti dei canali.
Vanesio a differenza di Venoso è ciò che sfuma perché non si rapporta ad alcuna sostanza. È il lato superficiale dell'acqua che si dissolve evaporando. A differenza di ciò che è "vano" il "vincolo" che si riporta a vena e a vino rimanda al patto sancito col sangue a cui si richiama il vino.
Il vino nelle coppe che rimandano alle rotondità femminili è un elemento connotativo delle scene passionali in cui l'ebbrezza fa da traino. Altro è il calice che conduce col vino quale metafora del sangue, oltre la cortina delle illusioni, nel dominio dell'eternità.

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Venezia, un'illusione di terra tra tanta acqua

Il Nord Italia è percorso da riecheggiamenti che vanno da una sponda mediterranea all'altra a lei opposta. Ci sono città come Venezia e a Sud sull'altro versante Napoli, che possono essere intese come sentimento per la ricchezza di emozioni e sensazioni anche contrastanti che ispirano. Venezia tormentosa e surreale, in precario equilibrio tra strisce di terra e il vasto mare risuona nell'animo totalizzante e incantato di Van Gogh e nella sua sensibilità di navigante sospeso tra cielo e terra. Ubriaca Venezia ma sempre seducente nei suoi eccessi passionali. È la rappresentazione fedele del Barocco e degli slanci esagerati verso una fame di vita difficile da appagare. La pietra lavorata finemente sulle facciate di palazzi e ponti sembra gareggiare con gli spettacoli della Natura che, per quanto piatta in un paesaggio antico, apre ovunque a scorci sbalorditivi e mai ripetitivi. Se vuoi porre fine alle tue monotonia e malinconia, vola a Venezia.
In passato la città offriva una soluzione per tutti e la solitudine rifuggita altrove, diventava una necessità tra mostrine e frivolezze. Se c'è una località che che non ti fa sentire solo e ti esalta allo stesso tempo opprimendo, questa è Venezia. Di un'illusione sperduta che ti entra nel sangue e non ti lascia distinguere là dove è terra e là dove è mare e là dove finisce il cielo. La sua ricchezza è il disordine dell'artista che si ricompone nella fiamma ardente degli occhi e del cuore. Vie tremolanti, l'acqua alta che dopo una notte all'alba si beffa di turisti e lavoratori, creando isole che prima non c'erano, rovesciando certezze e i luoghi del cielo che di colpo compaiono fioriti dal mare. Mare è amare e Venezia è al centro. Tante figure dall'alto la tappezzano nei suoi insiemi di calle e canali e di case. Figure risorte dall'acqua e che sono di guida per gli occhi. Un delfino guizzante, di chi vuole emergere dalla visione liquida e prendere boccate di ossigeno, prima di farsi riassorbire come il paesaggio intorno e poi, il granchio che arranca tra mare e scoglio. È difficile da vivere Venezia e ancor più difficile è sognarla nei suoi arcobaleni di luce rifratta che di colpo ti precipitano in un paradiso confuso che all'interno è gelido inferno.
Non è per vivere ma per imparare a vivere su un trampolino di lancio dal quale puoi afferrare il cielo semplicemente tuffandoti in basso, e morire di un sogno bello se si ha l'ardire di farsi travolgere da ciò che illude e che non è.

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Da Venezia a Genova. I significati nascosti della caccia

Si può morire a Venezia avvertendo il sentore di rinascere altrove. È la culla dell'Estetismo e di chi si ubriaca di bellezza per avere nitido lo sguardo sulla realtà. In un mondo ordinato si ha bisogno di forme di incantamento che svincolino dalle gabbie di una falsa moralità che comprime. Ecco Venezia scivolare via come i fantasmi nell'acqua di chi ha sciupato la notte divertendosi e al risveglio non ricorda più nulla, se non di essere vivo ma in un altro corpo.
Come anche Parigi, è la patria dell'impressionismo che si rende artefice di una realtà che puoi comprendere ma da altri punti di vista, solcando vie mai intraprese prima. Renoir non avrebbe potuto non scegliere Venezia così come tanti altri che a sua differenza non ci sono mai stati. E il confine da lì è vicino. Tanti confini, mondo slavo, austriaco... Dei viaggiatori e degli operai nella fuliggine delle fabbriche del Nord e delle mondine per le risaie. È un'infinità di mondi solcati di vie comunicanti che si chiudono all'istante e non ti lasciano più andare via.
Il Veneto e Venezia sono altro dal resto del mondo. Sono la modernità industriosa dell'Arte che parte dalle origini antiche a volte dimenticate delle palafitte che ricordano trampolieri sull'acqua che sa essere anche pericolosa.
Venezia ha tante porte, una per ciascun sogno di viaggi, denaro, mercanzie e religiosità. Come anche di un lusso sfrenato che renda indimenticabili.
Dall'altra parte c'è Genova in una simmetria naturale che fende il pensiero. Non si corrispondono affatto ma si compensano. Genova l'inquieta nascosta. La bocca delle Alpi che invita a sostare ma anche a fuggire. La città dei relitti arrivati da altrove, accolti ed emarginati. È il doppio volto di Giano, l' illusione superata per chi scende da Nord, in un'unità che ti gela perché non esiste ed era e resta l'approdo degli emarginati. Genova come Giano che incontra Geova, la sua storia s'interseca a quella degli Ebrei discesi dalla Francia e giunti da più lontano. La prima ondata si ebbe nel VI sec.d.C. e al X sec. risale il nome Genoa. Ma anche città di donne e di portuali che trovano posto nelle canzoni popolari di De André. Magica Genova, (come lo è per altre vie Venezia) che rispecchia la vicina Torino, capitale che interseca la duplice energia di mare e terra.
Come il Veneto anche il Piemonte ha i suoi richiami alla caccia che vuol dire anche altro. La reggia di Venaria voluta dai Savoia è altro dalla residenza di caccia frugale che il visitatore si aspetterebbe. È curioso come le definizioni "residenza di caccia" o "castello di caccia" aprano a storici inganni. Lo stesso dicasi in un territorio totalmente diverso per Castel Del Monte, ormai appurato che non fosse il castello di caccia tanto rimbalzato tra le pagine dei libri di storia. Puglia e Piemonte in linea obliqua s'incontrano e anche per la caccia che indirettamente le collega passando per la Sacra di San Michele e finendo a Monte Sant'Angelo. La caccia allora sta per altri significati che sconfinano nel simbolico divenendo sinonimi di ricerca o di persecuzione ma del male.
È risaputo che i Savoia avessero una particolare simpatia per la Magia e per la ricerca di contatti con il regno dei defunti e il Piemonte, riguardo a quest'ultimo indirizzo, vanta diversi luoghi di particolare sensibilità energetica e di accesso ad altri mondi. La Sacra troneggia nel territorio, a voler indirizzare la caccia a protezione della Luce e dell'Alto, affinché non si inciampi e non si precipiti nelle viscere del male.

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Il pesce e l'occhio nella pittura umanistico rinascimentale

"Pesce" in greco è l'acronimo di "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore". Il simbolo del pesce lega l'organismo all'elemento acqua in modo imprescindibile. L'acqua abbraccia gli organismi del suo regno che di essa sono prevalentemente costituiti. L'acqua riempie gli spazi rendendosi aria liquida. Gesù nuota nell'acqua staccandosi da essa ma continuando ad appartenerle. È un tutt'uno con il Padre ponendo in essere la Sua essenza materna che lo ha generato e non creato, legandolo all'Alfa.
La Madonna è la madre storica. Dio di per sé non ha definizione. È il principio che in quanto tale si rispecchia nell'Adam Kadmon.
Questi concetti che verranno ripresi dalla Chiesa non ufficiale dalla seconda metà del Cinquecento aprono a nuove interpretazioni sulle realtà di fede e ancor prima hanno avviato un terreno di confronto tra il mondo della ragione rinascimentale e i contenuti tradizionali della Fede. Per tradizione intendiamo tutti i riferimenti anche simbologici che contiene un patrimonio culturale consolidato. Tra essi ti ritroviamo anche il pesce.
Un carattere del pesce, in genere sottostimato, è quello di vivere limitatamente nel suo elemento fuori del quale muore. Il pesce pur non essendo un simbolo distintivo della cultura umanistico rinascimentale ne rappresenta l'indirizzo artistico partendo dal presupposto che il pesce è il nuovo uomo che potenzia se stesso puntando sulla ragione. La ragione è il vasto mare che nutre le potenzialità dell'uomo messe in atto anche nell'Arte. Come il pesce che nuota nel mare aperto l'uomo è reso libero dall'uso disciplinato della ragione che lo inclina a infinite espressioni. L'Antropocentrismo riassume questi contenuti che ritroviamo nell'occhio all'interno delle raffigurazioni ritrattistiche. Abbiamo visto come l'assenza di peluria e dell'arcata ciliare nel viso sconfigga ogni parvenza d'ombra che offuscherebbe la padronanza della luce. In più separa irrimediabilmente l'uomo attuale dal brutus del passato. La luce è il trionfo della padronanza dell'uomo nello spazio. Come il pesce che sguazza liberamente nell'acqua, l'occhio non ha limiti ed è collegato direttamente alle potenzialità della ragione che permette di indagare su tutto.
Influenzati dallo studio di Marsilio Ficino e ancor più di Pico della Mirandola dalla seconda metà del Cinquecento l'interesse si sposterà sulla bocca come espressione di vita e di congiunzione che aprirà a una nuova concezione del bacio. La Mors Osculi, letteralmente "Morte per Bacio" è uno dei contenuti più ostici del Neoplatonismo pichiano, alla base della Filosofia Ermetica che per vie in ombra affiancherà e si contrapporrà ai contenuti canonici della Fede.

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il Metamorfismo nell'eternità dell'immutabile. Il Seicento e nuove prospettive

L'immutabilità nel sole che nasce. Tenere il fiato sospeso e orientarsi nel sole che ogni giorno compie il suo rito di elevazione e comparsa sul piano dell'orizzonte. Fermarsi per annunciare è quanto ritroviamo nel presepe in relazione alla nascita di Gesù. Partecipare al silenzio mentre si compie un prodigio significa entrare nell'eternità del rito e renderlo non consumata consuetudine, ma nuovo e di volta in volta attuale.
Il presente è quanto si compie dinanzi e dentro di noi. In questo si compie l'eternità del rito, scavalcando la contingenza dell'immediato.
La novità è la nascita e l'immobilità della sfinge nel deserto l'annuncia da sempre, dall'eternità in corso.
Cos'è l'uomo se non eternità in cammino? Cosa sarebbero le azioni se non fossero in tale prospettiva? Smuovere l'eternità lasciando rughe colme di senso e crescita è quanto rileviamo nella Natura in corso dalla fioritura del tempo. La rosa ci ricorda quell'attimo e i momenti a seguire, proiettandosi in essi attraverso il gioco ad incastro dei petali. Le labbra e i fiori ci spiegano il ritmo fatto di balzi sinceri e armoniosi tra l'immobilismo e l''irrefrenabile corsa che si stigmatizza nelle azioni.
Tutto questo noi lo riscontriamo nella Metamorfosi che partendo dal nulla dà significato ad ogni azione. Si cambia conservandosi e rimanendo fedeli all'Eterno attraverso il processo di rinnovamento che non è rottura radicale con l'origine ma il seguire passo passo l'evoluzione di una forma. La Metamorfosi apre a nuovi scenari che sono propri del mondo della Natura che non contemplano il passaggio attraverso la decomposizione che rappresenta la fine del vecchio. È il mondo visto da una prospettiva di slittamento continuo in forme che lui sceglie perché sente che gli appartengono, proiettandosi nel divenire. È questo l'humus di partenza alla Filosofia Ermetica seicentesca e delle nuove strutture di cambiamento che fioriscono nella nuova società. Qui prende piede una forma di camaleontismo che condurrà all'affermazione del Carnevale non come scissione dall'essere, ma come traduzione estetica dei suoi principi formanti.

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