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Il Carnevale e la ricerca del Metamorfismo nel Seicento

Il Carnevale non nasce da esigenze di travestimento. Nonostante riprendesse antichi riti legati a Baccanali e Saturnalia in voga nel Rinascimento, il taglio che il Seicento conferisce al Carnevale è quello relativo alle Metamorfosi quale principio di costante affermazione dell'Essere. Trasformandosi nell'apparenza la sostanza riafferma se stessa nel fluire del tempo e delle stagioni. Grande impulso in questa visione legata all'Età del Barocco è fornita da una interessante e aggiuntiva rilettura delle Metamorfosi di Ovidio in cui le età dell'Uomo vengono ripartite in quattro a iniziare dall'Età dell'Oro. L'evoluzione prevede il distaccamento dell'uomo dal Principio che è Luce e la distrazione verso l'eccessiva considerazione della materialità che fa precipitare l'uomo nella cattiveria e nel male. L'amore è tenebra e trionfo continuo che segue le onde dell'uomo che precipitando da Dio fa seguire un avvicendarsi di deità che ripropongono se stesso. Nel tema del polimorfismo si fa rientrare nel Seicento quello del Metamorfismo anche attraverso il Carnevale che evita la dispersione e riconduca l'uomo all'Essere che respira in lui. Il Carnevale non è forse ricorrere al trasformismo per rievocare attraverso la maschera la propria persona? E cosa sarebbe per i classicisti la persona se non l'eco di Dio che risuona attraverso di essa?
Il Carnevale quindi non è conseguenza ma necessità di un'epoca che ha bisogno di non smarrire se stessa. Barocco significa infatti Sgraziato ed Eccessivo e risuona di attributi in contrasto con quelli precedenti che anteponevano il senso di misura e di equilibrio in ogni aspetto del reale guidato dall'uomo. L'uomo del Seicento non è più in grado di assicurare questi principi a seguito anche delle tristi vicissitudini all'interno della Chiesa che si è smembrata col sopraggiungere del del Protestantesimo e della riforma Luterana. Bisogna risalire quindi a quanto era prima e al principio di integrità uomo Dio assicurato dalla rilettura dei Miti nei quali la necessità odierna di riflettersi traendovi esempio. Ecco quindi uno sdoppiamento tra Dio e lo sfoggio di una superiorità visibile e ostentatamente risibile da parte del popolo che non si astiene da motteggiamenti anche esagerati e di pessimo gusto nei confronti dei potenti. Diventa uno stile di vita la parodia e una forma di caricatura di se stessi anche tra le più importanti corti europee. Dio si astiene e di distacca sempre più, divenendo oggetto di studio e di approfondimento nei circoli magici aspramente puniti dalla Chiesa che teme di perdere altro terreno.
Resta l'amore cantato vissuto sognato e canzonato come via di fuga da un' illusione costruita da uno smoderato vivere che si riflette nell'abuso di tecniche illusorie architettoniche apprese dal Quattrocento e dal Cinquecento. Nuove vie di fuga verso una realtà di debordante straniamento.

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Il compagno e il pane spezzato

Nell'Ultima Cena, Gesù spezza il pane. Un rito antico che si compiva ad ogni tavola e che spettava di diritto al capofamiglia. Nell'episodio di Gesù si carica di altri notevoli significati che vanno ulteriormente ad arricchire gli ultimi giorni del suo passaggio su questa terra. Spezzare il pane, gesto giustamente riportato ed evidenziato dai Vangeli, indica la rottura di un equilibrio e l'inizio di un percorso nuovo. Spezzare il pane era un gesto quotidiano che veniva consumato a tavola fino a pochi decenni fa. Il pane spezzato e non tagliato protrae nel tempo le proprietà del lievito e in più non perde la sua fragranza. Ciò gli permette di conservarsi senza deteriorarsi per diversi giorni.
Nell'episodio dell'Ultima Cena il pane è azzimo e si carica di ulteriori significati. Egli si attiene alla tradizione della Pasqua Ebraica indtillandovi nuovi valori. È il passaggio. Gesù infrange gli equilibri esistenti alla presenza dei testimoni a lui più intimi, rendendoli partecipi di quanto sta per compiersi. Un nuovo ordine che scombussolerà la vita di tutti i commensali e oltre. Spezzare il pane significa permettere alla verità di uscire e manifestarsi. Il pane è la terra e dalla terra nella sua tappa di morte avrà inizio una nuova era che avrà gli occhi rivolti verso il cielo. È la fine della civiltà agricola per come l'avevano conosciuta. Il comando del cielo, la sua autorità si esplica sulla terra.
Egli non compie tutto da sé ma tramite l'accostamento alla vera Verità da parte di tutti i credenti.
Gesù spezza il pane consentendo all'energia interna di liberarsi e di manifestarsi nei giorni che verranno fino alla sua riassunzione in Cielo alla destra del Padre. Il lievito qui non compare ma è la proprietà presente in ogni pane. La condivisione di tutto che si converte anche in sostegno da parte di chi è presente e vicino spiritualmente. Nella scena la spartizione precede l'opera dello Spirito Santo che investirà di coraggio la cerchia più intima di Gesù, permettendole di portare ovunque la Parola di Vita. Il pane di farina e acqua assolverà anche a una funzione analgesica. Rafforzerà l'animo degli apostoli rendendoli pronti a fronteggiare quanto sta per accadere. È lievito di vita e di speranza. Gesù con quel pane entra in ciascuno di loro difendendoli e proteggendoli dal male. Quel pane li unisce e li terrà uniti per sempre. È il corpo che scivola in ciascuno di loro e li rende parte attiva di quanto sta per compiersi. Un mondo nuovo nella rivelazione.
Compagno da "cum panem" è colui che assiste il Maestro e lo aiuta a misurarsi col mondo. È una figura di rilievo nella Tradizione Massonica e non solo, che permette con l'idea di scambio alla base, alla stessa di sopravvivere. Senza la presenza del Compagno nessuna traduzione sacra e religiosa di derivazione si protrarrebbe. Dialogo, scambio, partecipazione attiva sono necessari al tramandamento dei riti stessi.

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Ricordo come Ritorno nel viaggio delle esistenze

Le situazioni hanno bisogno di pause di silenzio, di spazi tra l'una e le altre. Non a caso definiamo quanto accade "circostanza" perché delimitata come il vagone di un lungo treno che definiamo vita. Il ricordo lo stabiliamo noi in base a ciò che accade e costruisce il nostro racconto.
Che senso potrebbe avere una vita oltre a quello di essere vissuta? Raccontandola finiamo con l'esistere per altre infinite volte e proseguiamo il nostro cammino in altre infinite voci e storie, indipendentemente da noi.
Lo stesso giro accade ai ricordi.
A prescindere dalle storie che li veicolano e sostengono anche con la leggerezza delle piume degli uccelli migratori, i ricordi riprendono ad accadere una volta che siamo migrati lassù. Piovono nelle vite che sorgono, come sentori di ciò che è stato, e a volte prendono la forma di esperienze che tracciano nuovi percorsi proteggendo chi li compie. I ricordi allora sono intuizioni che accompagnano il viaggiatore. Come un'eredità sospesa che non si sa da chi riceviamo e che cogliamo come premonizione.
"Ricordo" quindi come anche ricalco, ritorno in vita di un prodotto sistemato, affondato nell' intimità che in altri corpi riprende a nascere e a rifluire di nuovo.
È una corrente di speranza che lega il ricordo all'anima di chi è in viaggio nell'esistenza e che fa fondere speranza e tradizione in un percorso infinito.
In noi respirano infinite vite e tracce di esse noi le acquisiamo facendo scivolare nello stesso ventre speranza e ricordo. Siamo la somma di altri passi che aspettano ancora di giungere a destinazione ed ecco che il ricordo dal profumo verde si fa speranza attiva e quindi attesa.
Siamo il presente di un tempo che va oltre ciascun tempo. Un presente infinito che travalica le infinite esistenze.

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Michelangelo Buonarroti: Pietà vaticana
Michelangelo Buonarroti: Pietà vaticana

 

Non ci rendiamo conto adeguatamente vivendo in questa società dove ogni obiettivo e bisogno sembrano essere soddisfatti, della risonanza che possano aver avuto la rivoluzione copernicana o le leggi di Keplero. Sembra una sostituzione da nulla aver tolto dalla posizione centrale la terra e avervi piazzato il sole.

[10:21, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: Le operazioni letterarie di Manzoni e di Leopardi. Due mondi a confronto

L'altro grande messaggio inoltrato da Manzoni attraverso il personaggio di Lucia è che l'umiltà ha comunque una sua dignità e una sua intelligenza capaci di offuscare il titolo scolastico basso o mancante del tutto. Su questo poggia il sostegno conferito alla borghesia nascente da parte del Manzoni. La scelta di aver ambientato i Promessi Sposi nel Seicento al tempo del dominio spagnolo e della peste, dimostra che il cambiamento e la speranza che esso si realizzi sono riposti solo nella borghesia capace di guardare al di là di titoli fasulli e di privilegi di sangue. Borghesia non significa per Manzoni adeguarsi a modelli di dissolutezza morale o riproporre in chiave diversa un modello di conservatorismo che continui ad agire a discapito degli ultimi. Il Manzoni nella borghesia ravvisa il giusto riscatto dall'immobilismo sociale e dall'arroccamento sui privilegi. L'uomo deve muoversi per modificare la storia e per storia il Manzoni intende in primis la realtà sociale. Non ci sono più gli Spagnoli ma gli Austriaci nella sua Milano, ed è comunque il momento del riscatto del popolo italiano.
Vanno fatti gli Italiani prima dell'Italia e Manzoni con il suo ruolo di intellettuale modernista da' un considerevole contributo affinché questo accada.
Lucia è il sole che rispunta dopo le piogge che debellano la peste in una concezione finalistica intesa in chiave moderna che vede il cambiamento della borghesia scavalcare il ristagno aristocratico e i soprusi. È una concezione moderna e opposta a quella leopardiana di rifugio nel pessimismo cosmico. Al ritmo incalzante ed eroico del Manzoni, Leopardi contrappone un'aulicita' commovente con spiragli di rasserenanti atmosfere che alla città in movimento pongono di contraltare la campagna ancestrale cosparsa dei suoi silenzi.
"La donzelletta vien dalla campagna" de "Il sabato del villaggio" del Leopardi introduce all'intimita' rassicurante della dimensione domestica. Il ritorno equivale al rientro in sé stessi facilitato dalle letture classiche. Il Classicismo per Leopardi è la radice che seda i tormenti esistenziali rivelando un mondo ordinato che ha un suo finalismo, che all'esterno il poeta non trova. Stucchevole ne risulta a tratti il linguaggio eccessivamente desueto ma necessario per riflettere adeguatamente la sua poetica esistenziale.
Entrambi figli dell'Illuminismo, Manzoni e Leopardi esprimono due diverse esigenze dell'intellettuale italiano ottocentesco, convertendo su sporadici punti e divergendo su molti altri, configurando un'Italia travagliata sotto vari aspetti e in attesa di un'unificazione tuttora rimasta incompiuta.

[10:26, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: https://www.google.com/imgres?imgurl=https%3A%2F%2Flookaside.fbsbx.com%2Flookaside%2Fcrawler%2Fmedia%2F%3Fmedia_id%3D299265098141541&imgrefurl=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2F107506347317418%2Fphotos%2Fa.107522997315753%2F299265098141541%2F%3Ftype%3D3&tbnid=aICNiDp56Qg3eM&vet=1&docid=9utkBLnvl5e9lM&w=640&h=1068&hl=it-IT&source=sh%2Fx%2Fim


[18:18, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: La conocchia e la pettinatrice nel mondo antico

Quelli della mia generazione sono al limite tra il mondo vecchio e quello nuovo in via di sperimentazione e di una sperimentazione che avverto infinita. Quelli della mia generazione, varcata la soglia dei quarant'anni, vivono in una prospettiva di apertura su un vasto campo in cui riaffiorano radure di un mondo antico, forse vagheggiato soltanto. Le esperienze passate si sfoltiscono nella memoria e le superstiti sono ricordi induriti come zolle al sole.
Si vive anche per raccogliere e tramandare ai propri posteri e per chi non li avesse, il tramandamento avviene con un volteggiare di riecheggiamenti che arriveranno alle orecchie, un domani, confusi e disseminati di buchi e di aliti di menzogna. La verità spezza il giro di tante storie finte, alcune leggere e belle che lasciano rifiorire la notte dei tempi, altre melmose e aspre che purtroppo attecchiscono facilmente nel suolo che trovano.
La verità spezza il giro e la verità quando si rivela sconvolge. È questo un tema a cui fa riferimento la letteratura romantica ma non solo, recuperando l'immagine della conocchia. Questo curioso arnese utilizzato nella filatura, ha anticamente ispirato le pettinature dalle più semplici alle più elaborate. Il tuppo nelle sue varianti che tengono conto della lunghezza dei capelli impegnava nelle donne antiche una buona parte della mattinata. Le operaie e le contadine spesso si pettinavano la sera e si svegliavano con i capelli ancora ordinati e pronti per la giornata lavorativa. Il fazzoletto in testa o scialle preservava dalla polvere e nascondeva eventuali imperfezioni. Altra storia per le donne di alto ceto che curavano i loro capelli con la massima attenzione, ricorrendo alla figura della pettinatrice, una cameriera il cui compito era esclusivamente quello di sistemare i capelli della signora di casa.
La pettinatrice è una tra le figure più antiche comparse a seguito della suddivisione per classi. Ne abbiamo notizia già dal primo Neolitico con la comparsa della filatura e tessitura. Gli alti tuppi che già compaiono nelle regine egizie e faraonesse della prima dinastia traggono ispirazione dalla lavorazione dei filati e prendono spunto dalla conocchia.
Gli antichi pettini erano alquanto imperfetti, nonostante fossero di argento o di avorio o di pietra dura preziosa. Chiaramente mi riferisco a quelli utilizzati dalle fasce sociali più alte. Per pulirli si ricorreva all'immersione in acqua profumata calda o bollente allo scopo di eliminare i parassiti e la sporcizia più consistente. A conclusione, per rifinire l'opera ed eliminare ogni residuo di sporco, si provvedeva a far passare tra i denti le lunghe foglie di mais o di canna che sono molto resistenti. Era questo un rito vero e proprio svolto dalla pettinatrice che era la figura più vicina alla padrona di casa della quale conosceva i segreti. La pettinatrice non era una cameriera qualsiasi perché doveva maneggiare con cura i capelli. Si nasceva pettinatrici e con una marcata predisposizione ad osservare tutto e a intervenire verbalmente solo all'occorrenza. Era una mansione che si ereditava e nel Medio Oriente era anche ben remunerata.
Era l'ancella prediletta che avversava i riti magici di negromanzia, per cui era dotata di una particolare sensibilità. Toccare i capelli significa esercitate il proprio potere sull'altro ed era questo un punto su cui gli antichi delle civiltà trascorse dalle Mesopotamiche a quelle più recenti, non transigevano. Per questo faraoni Egizi e re sumeri usavano copricapo particolari alti e di materiale prezioso a indicare che al di sopra di loro non c'era alcun mortale.
Le acconciature e le pettinature femminili si sono succedute nel tempo, variando spesso di poco. Alle acconciature a tuppo dei grandi imperi medio orientali che avevano lo scopo di conferire autorevolezza e di far guadagnare qualche centimetro in altezza alle donne di allora, sono andate via via imponendosi quelle meno voluminose e dietro la nuca che servivano a compensare i nasi importanti delle donne greche e mediterranee, nonché romane.
Il tuppo alto serviva a evidenziare nelle primitive società teocratiche il disco solare che pone in comunicazione il capo con il raggio perpendicolare del sole allo zenit. A evidenziarlo e a nasconderlo nello stesso tempo, allo scopo di proteggerlo in quanto ritenuto sacro e anche perché il punto più delicato della testa. A tale scopo il tuppo alto era un'acconciatura in uso anche tra gli uomini più autorevoli degli imperi antichi mesopotamici e mediorientali.
La relazione tra capelli e tessitura è evidenziata proprio dal tuppo a conocchia che riprendeva la conformazione della pannocchia del mais, un cereale presente nella cultura di tutti i popoli più autorevoli e antichi. Il mais presso i popoli precolombiani era ritenuto sacro. Da noi era considerato il cereale di coloni e contadini poveri. Raccogliere il grano richiedeva più manodopera che raccogliere il mais dalle pannocchie grandi e dai chicchi più grossi. Proprio per quest'ultima caratteristica il mais in Calabria era chiamato "grandiano" ossia "grano grande" e veniva consumato in svariati modi. Arrostito sulla brace o macinato cotto a focaccia o frittata.

[18:17, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: https://images.app.goo.gl/WsAkr97Cwm5siCyG9

[10:51, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: L'immagine della Donzella nella poetica dell'Ottocento

Il dramma di noi italiani e che non abbiamo mai concepito il senso di comunità in rapporto all'identità di appartenenza. Da questo è dipeso un affrancamento diffuso tradottosi in una forma accesa di rinnegamento delle politiche sociali in vista di traguardi individuali. A questo disegno si confà l'atteggiamento antititaliano che vediamo nell'Ottocento e che ha comportato forme di intesa ambigue con gli invasori stranieri, al fine di trarre vantaggi destinati a un nucleo del ceto abbiente. Quanto detto è altro dal campanilismo che rientra comunque in una visione d'identità comunitaria. Non resta che la fedeltà alla campagna, un valore antico più che un mondo a parte e questa visione di fedeltà che richiama ai costumi feudali raccorda menti e riflessioni poetiche anche di letterati tra loro contrapposti.
La campagna nell'Ottocento italiano è l'ultimo brandello di una civiltà che è costata lavoro e sacrifici ma che, a dire il vero, non ha poi contato così tanto. È il luogo del riposo, la patria bucolica a cui ricondursi nella sua completezza ancestrale che raccoglie miti e personaggi sospesi sul filo magico di confine tra verità e dubbio. È il regno della leggerezza e delle ninfe danzanti a cui Leopardi sembra ricondurci con l'etimo scelto accuratamente "donzelletta". La donzelletta è più della donzella. È la ragazzina che vive la spensieratezza dei suoi sogni e di un'ingenuita' accordata alla primitivita' agreste. La donzella e la donzelletta sembrano danzare come i fili d'erba smossi dal vento. L'assonanza a danza è viva e comunque richiama a un movimento armonioso e composto, che proprio per questo seduce. La donzella è anche la Lucia di Manzoni che nonostante la sua fanciullesca aderenza alla semplicità è illuminata da una sana scaltrezza che si traduce in riflessione e oculatezza a differenza del suo promesso Renzo che come suggerisce il cognome, va a infilarsi in situazioni scomode e confuse.
C'è un'anima comune che percorre la letteratura ottocentesca e che sembra ricondurre al punto saldo di riferimento rappresentato da Mater Matuta, l'alito vitale della tradizione agreste pre romana e che compare rifluire speditamente dai versi vergati dai poeti. Come un respiro caldo e accogliente che proviene e risale dalle radici di una terra operosa e gravida di frutti.

[10:52, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: https://www.google.com/imgres?imgurl=https%3A%2F%2F4.bp.blogspot.com%2F-_ouftP5vL44%2FV2MOw3z8jrI%2FAAAAAAAAEbA%2FI1uQ7amxZYAT6sWlVfqv2JshUAQAE_4ugCLcB%2Fs1600%2Fcampagnola.jpg&imgrefurl=https%3A%2F%2Fwww.duepuntotre.it%2F2016%2F06%2Funavvenente-ragazza-di-campagna.html&tbnid=IYIx1ztFRo9snM&vet=1&docid=1fIgviepIxHw9M&w=696&h=392&hl=it-IT&source=sh%2Fx%2Fim

[08:25, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: Lucia Mondella, il forte esempio del Manzoni

Se c'è un esempio nella letteratura mondiale che mette d'accordo cuore e ragione, questo è sublimamente rappresentato dalla Lucia manzoniana. Se nella narrativa europea ottocentesca e non solo, viene palesemente orchestrato il dissidio nei personaggi tra ragione e sentimento, la Lucia Mondella rappresenta l'eccezione. In lei, nella sua semplicità, si coniugano il lume della ragione e l'intelligenza infusa da Dio e rinvigorita dalla fede andando a far coincidere il sentimento autentico di amore anche protettivo e in un certo senso materno verso Renzo, con una visione analitica della realtà. Lucia è la misura oculata che incontra la Storia in un tempo che richiedeva parsimonia e lucidità e ponderatezza prima di muovere ogni azione di rivolta. Ecco, Lucia impersona la lucidità che incontra la bellezza a viso aperto a cui corrisponde l'immagine di apertura dell'intero romanzo che inclina a seguire la luce divina sostenuta dalla ragione che si riflette nella bellezza.
"Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno." Volgere lo sguardo è un invito a seguire la luce che nonostante gli accadimenti bui è il tema focale di tutto il romanzo.
Lucia Mondella è una ragazza qualunque, eppure diversa al punto di piegare gli animi più violenti e servitori del male. Ha una sua bellezza primitiva in una Milano che già incontra la superficialità che si riflette nei facili costumi. È l'opposto della Violetta di Verdi. Lei non si lascia sedurre dal baluginio superficiale che fa precipitare la donna in comportamenti degradanti. Lei segue senza tentennamenti i suoi principi. Ha il sole che le brilla dentro o comunque, la fiaccola luminosa che non la fa mai disorientare. È la bellezza romantica opposta a quella vanesia. È la donna che incanta per il mistero profondo che porta dentro e che nel suo caso, conduce alla fede. È desiderata da uomini di alto ceto ma barbari e randagi nell'anima perché in lei trovano la compensazione al male che li tortura. È la luce che dopo lunghi giorni o anni di tenebra rischiara, porgendo la dolcezza di una nuova alba che invita a seguirla chi è disposto a rinunciare non a sé stesso ma ai suoi tratti sbagliati, prede del male.
Questo è il taglio qualitativo del Manzoni conferito ai suoi personaggi. Non esiste tra i protagonisti il personaggio veramente negativo, al di la di Don Rodrigo necessario alla trama e al massaggio veicolato, e dei bravi, questi in secondo piano. I principali suscitano o sentimenti di compassione iniziando da Don Abbondio, tutto sommato buffo nel suo insieme, oppure di forte riscatto che, una volta intrapresa la via di guarigione, lasciano emergere i tratti veri della loro personalità.
Lucia è la Mondella, ossia la Donzella allettante che incontra nel cognome il duro lavoro della mondina, lavoro tipico delle popolane di quella regione geografica. Mondina significa colei che pulisce e in Lucia splende questo ruolo carismatico di riuscire a convertire il cuore di prepotenti e malvagi.

[08:26, 31/1/2023] Sicoli Ippolita: https://images.app.goo.gl/hcGpQwku2Mw2Hj5u7

[20:11, 30/1/2023] Sicoli Ippolita: La gioia e la passione nella via del Sacro

Salviamo dentro di noi non i momenti particolarmente significativi e filtrati dalla coscienza, ma quelli che ci hanno visto più presenti, ed essere presenti significa essere centrati nel cuore. Non salviamo dall'oblio quindi le situazioni che ci vedono tesi o in fermento, ma quelle in cui siamo in pace con noi stessi, al punto da aprire la porta al cuore e da renderlo partecipe. Se siamo tristi o depressi, se siamo sotto un pesante stress emotivo, soffre la scena che sgualcisce nella nostra anima e precipita in picchiata nell'oblio. L'equilibrio ci porta ad avvertire e ad essere splendenti nella gioia che abbiamo visto essere altro dalla felicità, questa per lo più un miraggio se non uno stadio fuggevole che lascia appassiti.
Passione e Appassimento purtroppo sono legati. Sono entrambi rappresentazione di una curva che compie un guizzo nel cielo e poi cade in picchiata. È un arco che resta da solo e non riproduce alcun abbraccio. Così è l'epilogo di un frutto che si lascia molestare dal sole che lo spinge ben oltre lo stadio di maturazione. Metterci passione è altro da "vivere una passione" che lascia bruciati. Passione da Pathos significa "sofferenza" e la troviamo nel passaggio dal Gesù al Cristo. L'Unto si manifesta a seguito della Passione e Morte e Resurrezione. Attraverso il rito sacrificale, quindi la via del Sacro, la passione culmina con la morte da cui poi risorge. È quanto accade nei riti teofanici in cui la spinta della passione smuove la psiche e la spinge incontro alla liberazione dalla carne che si identifica con la morte.
Ritornando alla gioia, è una condizione emotiva che persiste. Il buon Cristiano vive nella gioia che è ben altro dal vivere nella felicità tanto ricercata dai giovani che cercano una via di fuga dalla monotonia quotidiana. La gioia non passa e brilla in noi. Questo spiega la derivazione di "bijou" e "gioiello", traslazione materica della propria luce che si rispecchia in essi.
"È un gioiello!". Definiamo così luoghi e persone che splendono dentro di noi, accendendo la luce della nostra anima che si ritrova in quanto ammira.
Il gioiello che cos'è se non la traslazione fisica del nostro tesoro interiore? E spesso ahimè, le proiezioni materiali superano di gran lunga il valore conferito alla sostanza. La caduta della Sapienza deriva proprio dall'aver dato maggiore risonanza al corrispettivo esteriore che al patrimonio interiore. Sappiamo che anticamente il re o il faraone era a capo della casta sacerdotale. La decadenza dell'apice sociale è stata determinata dalla vanità ingorda di prestare maggiore attenzione alla dimostrazione esteriore. L'opulenza ha scavalcato il rispetto del ruolo. Questo richiedeva una condotta esemplare fondata su una dignità spirituale che nel tempo è mancata.

[20:17, 30/1/2023] Sicoli Ippolita: https://images.app.goo.gl/Y8yBjSg3dnU5Zxu2A

[18:23, 30/1/2023] Sicoli Ippolita: La speranza, la speme nel canto antico

Ognuno in cuor suo spera ed è la speranza come sentimento ad avvicinarci tutti. Nelle sue specifiche diversità, la speranza ci accomuna e questo sentimento di condivisione lo ritroviamo espresso nella letteratura romantica. La speranza è degli animi candidi, di chi confida nel fato in quanto tale o nel destino che incrocia ed esprime la volontà di Dio.
La speranza è della gente semplice a cui tutto sembra corrispondere nel giusto perché nell'ordine delle cose o nella grazia di Dio. La delusione invece è del poeta che sa che nulla verrà modificato, ma che intanto spera perché è nella necessità della vita sperare.
Il doppio volto della speranza è evidenziato dalla sera che conclude ma apre alla parte più spirituale della giornata. La"speme" è quanto resta senza costrizione alcuna al calar del giorno, per svaporare l'indomani all'alba.
"Speme" e "Spuma" si appartengono. La speme è negli occhi del poeta che guarda e ascolta alla ricerca di un lieto mutamento che gli alleggerisca il cuore. È di chi spera e leva gli occhi al cielo, facendo così comprendere il suo sentimento a chi è presente al suo sguardo. Il deluso guarda in basso perché trascinato dal cuore stanco e contrito. La delusione grava cone un macigno lungo il percorso della vita che essa tende a bloccare. La speranza è la nuvoletta che viaggia serena all'imbrunire e leggera si dissolve lontano, forse soddisfatta e compiuta.
Ecco, alla speranza segue la compiutezza e per questo si carica di sogni con la notte, che di giorno svaniscono.
Kalimera in greco significa "buongiorno". Letteralmente "buona porzione". Il mattino che ultima col mezzogiorno è una parte della giornata. Il "meros" greco ha il corrispettivo nella "ratio" latina che significa proprio "porzione" da cui Ragione. Il giorno è legato all'attività della ragione che è una parte soltanto della mente umana, insufficiente a cogliere la realtà per intero, in quanto offuscata dalla luce abbagliante del sole che con i suoi raggi scansiona il mondo. Altro sono i sentimenti che nutrono le componenti della Psiche che in greco significa Farfalla. Questa compare nelle immagini primitive e naif dell'infanzia in un bel mattino mentre svolazza per i prati sotto la luce del sole. Rappresenta il binomio antico "anima ragione" e la mobilità di chi spensieratamente si incammina alla ricerca della Verità inafferrabile.

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[12:50, 30/1/2023] Sicoli Ippolita: Il Nous, dal Kaos al Cosmos, e le infinite vie del No

Arca e Casa sono composte ciascuna da quattro lettere. Sono parole che collegano il Creato al principio originario e al Cosmos. La casa è l'origine. Basta una madre col suo germoglio a rappresentare una casa.
Il nome Noè di tre lettere rappresenta il triangolo, la parte della casa che lega al Padre e al Cielo. Come Gesù, Noè è il Figlio con cui stabilire una nuova alleanza tra Dio e l'uomo.
Il ventre di una donna in gestazione è già casa. La casa è quindi l'arche', il principio primitivo che dal più piccolo procede verso il più grande, seguendo i punti di congiunzione secondo il progetto della Creazione. A riguardo va detto che spesso attribuiamo al nodo un significato negativo. Esso indica una forzatura o anche un intralcio o un imprevisto lungo il cammino. Il nodo regge quanto è spezzato e in quanto tale apre a una soluzione. Il nodo però ha una dubbia resistenza e non sempre riesce a reggere. Dipende dal materiale con cui viene fatto. Resta in ogni caso riferito a Nodo un sentore di negatività e di imposizione. I nodi sono le prove a cui ci sottopone il destino. Evidenziano la rottura di un flusso che scorre in armonia. Eppure li riteniamo nella vita pratica fondamentali.
Quando il legame non è convinto o sincero, oppure appare fragile, subentra il nodo come effetto vincolante. Esistono i nodi energetici che sono punti di raccordo e anche a proposito del Vinculum ci sono situazioni e situazioni. Sui Vincula si espresse anche Giordano Bruno a proposito dei legami energetici tra gli elementi del Creato, offrendoci una visione in cui ogni singola parte partecipa al Tutto influenzandolo attivamente.
C'è da dire che ovunque ci sia un nodo, c'è precarietà o rottura e, a differenza del mondo celtico dove il nodo esprime un legame d'amore indissolubile, il nodo contrasta quanto voluto da Dio. In noi prevale questo significato legato alla funzione del nodo.
Alla parola "Nodo" è legato Nod, il territorio ad est del Paradiso Terrestre, dove si stabili Caino a fratricidio commesso. È l'incidente di percorso che fa deragliare la stirpe di Adamo ed Eva. È la prevedibilità assegnata tramite punizione divina alla progenie della prima coppia. A "nodo- Nod" si fa risalire il "Not" inglese e il "No" presente in diverse lingue. Il nodo tiene assieme ciò che per l'ordine naturale e spontaneo delle cose sarebbe distinto. Come si fa a stabilire cosa sarebbe più giusto? Se lasciare che la congiunzione si spezzi? O al contrario che venga mantenuta dal nodo? È bene in ogni caso far cadere le relazioni che non hanno un buon futuro. All'uomo dopo aver ascoltato se stesso, spetfa la decisione. Il libero arbitrio prevede in un senso o nell'altro l'intervento decisionale dell'uomo.
Tenendo conto di ciò che è giusto e sbagliato e della funzione positiva del No, ci rapportismo all'altra radice di questo monosillabe, che è Noè.
Noè è colui che risponde all'opera di azzeramento del vecchio ordine, perché macchiato dalle colpe dell'uomo, quindi obbedisce al nuovo inizio voluto da Dio. Noè è il patriarca del Nous, del pensiero della Distruzione fondamentale per ripartire da uno stato di verginità non compromessa. È colui che obbedisce al Kaos in vista di un nuovo Cosmos.
Nei testi religiosi il Kaos non è mai il punto di arrivo o il fine. Esso è il mezzo. È la condizione necessaria per impostare il nuovo ordine su cui impostare il Nous, il nuovo pensiero. "Nous" e "Nuovo" si appartengono. Il pensiero segue alla fondazione di un nuovo mondo e Nous è anche il Principio Primo pensante corrispondente a Dio.
Anche nel mondo celtico avviene come in tutte le culture, il passaggio dal vecchio mondo al nuovo, attraverso il Kaos e la pasce sopraggiunta col Cosmos è rappresentata dalla tavola rotonda guidata da Re Artù. Il nodo d'amore è però un simbolo nobile e bello che appartiene al repertorio della cultura mandalica celtica che ha portato la letteratura cavalleresca ad elevati esempi relativi al tema amoroso, in un contesto di forte precarietà affettiva dettata da guerre e disavventure in cui l'andar per mare era tra le prime. Contrapporsi al vento contrario è degli spiriti eroici che tengono duro ai loro principi. I nodi del marinaio esprimono la forza umana di saper reggere la furia di un destino avverso per antonomasia rappresentato dalla tempesta marina.

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[07:56, 30/1/2023] Sicoli Ippolita: Noè e la rifondazione di un nuovo ordine

Sono gli astri in cielo a indicare i passaggi epocali. Il termine segno indica proprio l'incisione su una tavola piatta che rappresenta il manto del Cielo nonostante la sua profondità. La Cometa dell'Epifania, gli strani avvistamenti odierni fanno parte del progetto di un nuovo ordine cosmico che cerca di imporsi influenzando le vite di tutti gli esseri viventi. Non siamo disgiunti dal Cielo e di questo occorre prendere atto. Nonostante si pensi il contrario, è nel Cielo la vera solidità, e nella sua manifestazione.
La caduta del Cielo non è il cataclisma che ci sconvolge qui sulla terra. È la fine anche del pensiero per come lo conosciamo. È la distruzione del mondo anche in riferimento all'uomo. Il diluvio universale lo si deve intendere anche in questa prospettiva. Il cielo si rovescia sulla terra che si ritrova avvolta dalle acque. Noè il cui nome riconduce al Nous, intelligenza che governa il tutto e quindi è parimenti lo Spirito Divino tradotto in azione, è il fondatore di un nuovo tempo. È la traslazione di Dio sulla terra che salva ciò che merita di restare, preparando dopo il Kaos resosi necessario, un nuovo ordine.
L'arca riconduce nel nome ad "Arche': principio". Non è una nave qualunque quella costruita da Noè sotto indicazione di Dio. È fatta in un certo modo e ciò rimanda al.principio che esiste uno spirito nascosto al dj sopra di tutto, che cogliamo come Legge Divina a cui corrisponde un prescelto qui sulla terra. Un prescelto che può essere benissimo inteso come suo riflesso e strumento per operare uno sconvolgente cambiamento.
Non esiste cambiamento per l'uomo che non sia deciso dal Se' che è la scintilla divina dentro ogni essere palpitante.
Alla luce di quanto sopra detto a proposito di Noè, anche Gesù può essere inteso come la traslazione di Dio, tramite cui il Padre attua la rifondazione dell'umanità. E questo un capitolo delicatissimo che potrebbe aprire a contenuti che ci porterebbero alla deriva del Credo assiomatico. È interessante soffermarsi sul valore della cavità dell'arca, che ritroviamo in Natura al fine di dare asilo e assicurare la continuità della vita sulla terra ad ogni essere vivente. La canna, l'esile filo d'erba assicurano riparo e continuità dell'esistenza agli essere piccoli e invisibili a cui noi non prestiamo attenzione e che pure fanno parte del grande tessuto animico che è la Natura. Anche questi esserini per noi insignificanti furono salvati da Noè e forse furono proprio quelli a cui il patriarcs prestò maggiore attenzione, in quanto rappresentano la vita nei suoi processi di affermazione, che sale dalla semplicità della base per poi ergersi sotto la volta del cielo.
I germi che ritroviamo in armonico equilibrio nel simbolo del Tao a questo concetto si riconducono. L'invisibile ha posto le radici della vita, eseguendo quanto dettato dall'Invisibile in Alto che si rende presente in ogni forma di esistenza.

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