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[21:55, 29/1/2023] Sicoli Ippolita: Mater Matuta, la Madre e il tutto

Nelle sculture antiche di troni litici sui quali sedevano la dea Madre con bambino, le spalliere avevano il lato superiore parallelo al piano d'appoggio, a ribadire il regime ctonio e orizzontale dei simboli legati al femminile. Spesso la struttura quadrata del trono è alterata dal busto femminile che si allarga verso il basso a riproporre il modello verticistico di supporto alla Maternità che caratterizza la donna e la differenzia dall'uomo. Il triangolo che ne risulta riproduce la sommità della casa. È simbolo di maternità e di rifugio in rapporto all'angolo superiore e si ricollega al delta dell'utero. Il triangolo rappresenta le elevazioni montuose e orografiche che rintracciamo sul corpo della donna. Il triangolo è quindi anche la raffigurazione della mammella che nella rappresentazione della Madonna del latte nutre il Bambinello.
Nelle sculture relative a Mater Matuta, la dea Madre primordiale venerata dagli antichi Etruschi e dai primi Romani introducono non solo ai culti matriarcali dell'Asia Minore ma intessono un legame con le antiche costruzioni mediorientali. Ripropongono la concezione della terra che si eleva a sacralità, sulla quale va a incidere la primitiva arte muratoria.
In una raffigurazione molto antica di Mater Matuta ritroviamo il busto scolpito a gradoni che salendo culmina sul capo con un pomo. È la raffigurazione che collega la dea Madre alla tradizione delle costruzioni di pietra consolidatesi nella struttura del trullo e che, seppur alla lontana, ci richiamano le civiltà precolombiane. Il culto della dea Madre attraversa in lungo e in largo il pianeta presentando curiose affinità tra popoli distanti tra loro migliaia di chilometri.
Matuta significa "della mietitura" ed era il nome della dea ancestrale della fertilità. La radice "mat" la ritroviamo presente in "madre" e in "materia". La dea egizia "Maat" era colei che presiedeva all'ordine di tutti gli elementi dell'Universo. Mater Matuta nonostante l'aspetto massiccio che apre alla donna in pieno possesso della sua fertilità e rappresentata dalla luna piena, raccorda in sé i meccanismi dai più semplici e reconditi che costruiscono la vita partendo da un comune progetto. Mater Matuta è legata alla civiltà delle prime costruzioni e dei mattoni ricavati dalla pietra. Proprio perché presiede alla costruzione della vita, assembla l'energia vitale umana e animale e l'industriosita' della prima tradizione muratoria. È colei che presiede alla civiltà della pietra e a quella dei raccolti, divenendo icona distintiva della nuova coscienza neolitica.

[21:36, 29/1/2023] Sicoli Ippolita: https://images.app.goo.gl/fhW3oqoDKzjzJnGZ6

[18:12, 29/1/2023] Sicoli Ippolita: Potere e potenza tra temporalità e spiritualità. Il triangolo e la via della casa

La casa è il cielo. I contenuti che una persona si porta dentro di sé quando è in viaggio e a cui ritorna quando rilascia i suoi pensieri la sera sul cuscino prima di addormentarsi. Era anche l'isola di serenità a cui fa ritorno l'uomo, astraendosi in cristalli di momenti dalle contorsioni del mondo.
Librarsi nel cielo equivale a scendere nella profondità di sé stessi. E qui ritrova la sua religiosa teca privata il viandante, una figura sicuramente alta spiritualmente per il mondo germanico. I peregrini sono lembi di cielo in cammino sulla terra. Non è l'azione o il credo religioso a trasporli su un piano di elevazione, né tanto meno la sensibilità che si traduce in spirito di soccorso verso i deboli e gli ammalati. L'elemento che avvicina i religiosi viandanti e il vagabondo è la presenza di un lido celeste in entrambi. È il contenuto della loro anima che supera le intemperanze travolgenti dell'esistenza e si coniuga con uno spessore divino.
Nel Medioevo il polittico, le tavolette delle icone bizantine con il taglio a triangolo riconducono al tema sacro della casa celeste, al Regno del Padre. Un significato di intimità domestica ha la Maternità che rappresenta la casa nella sua più intima avvolgenza e accoglienza, nel suo calore domestico. Un distinguo invece va applicato alla figura di trono o sedile medievale le cui spalliere ultimano anch'esse a forma di triangolo. Che siano in pietra o in legno, il messaggio di casa che veicolano varia a seconda della destinazione. Nel caso del trono del re, la casa rimanda al dominio esteso o meno del reggente. Nel caso della cattedrale, al potere anche temporale che esercita il vescovo in quel territorio. Nel caso del trono feudale, al dominio e all'autorità che esercita il domino del castello sul suo feudo e l'intenzione implicita ad estenderlo. Il triangolo è la rocca, la certezza su cui si va ad applicare la cupidigia del potere. La convergenza di "potere" verso "potenza" verte intorno all'autorità divina e da qui si diparte la confusione con il principio di autorevolezza. Il potere è quel.valore aggiunto acquisito agli occhi degli altri anche a costo di agire con la forza. Ma la vera forza e la vera potenza sono di chi è slanciato verso la trascendenza e viene riconosciuto da Dio. La beatitudine è l'elezione a fratelli di Cristo di frati e monaci costata a loro cara per i segni di riconoscimento dolorosi come le stigmate rilasciate da Dio e le piaghe che ricordano la crocifissione e la flagellazione di Gesù. La potenza è un titolo riconosciuto da Dio a chi intraprende un percorso mistico. Altro è il potere arrogatosi dai prepotenti ai quali va comjnque il merito delle committenze artistiche, seppur come fregio della loro risonante posizione terrena da tramandare ai posteri.

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[12:27, 29/1/2023] Sicoli Ippolita: Il tema del vagabondo e del cavaliere errante nell'Europa primo Novecento

Siamo soliti riferirci alla casa come alla struttura che ci contiene, quando invece siamo noi a contenerla. Casa è un sentimento che ci porta ad accogliere chi scegliamo e non per questioni materiali o venali. La casa è la scintilla della vita. La radice e il frutto. La madre e la sua creatura.
C'è chi parte e abbandona dietro di sé la vita precedente preso dalla necessità di creare tutto di nuovo, partendo da zero. Lasciarsi dietro il vissuto non equivale a svuotare il sacco dei ricordi. A vomitare sul ciglio di una strada con l'idea di continuare ad andare più leggeri. Il dentro se si dà ascolto all'anima, lo si porta nel cuore e non come un sacco vecchio ma come la torcia che illumina il nuovo sentiero.
Il dietro è il finito, l'ormai concluso. Il dentro è la fonte di luce che ci sospinge. Su questa differenza si concentra il tema del vagabondo molto caro alla letteratura nordica primo Novecento. È un rema che leghiamo a un certo tipo di narrativa di formazione e in particolare alla produzione di Herman Hesse la cui opera più conosciuta è il "Siddarta" seguita da "Narciso e Boccadoro". Il tema del vagabondo è centrale nella cultura germanica discendente da una derivazione del mito di re Artù e molto più concentrato sul risvolto cristiano degli antichi cavalieri nel confronto con lo stesso repertorio di matrice celtica. Il cavaliere errante è colui che ritrova sé stesso attraverso le varie peripezie a cui va incontro. Sembrerebbe che il vagabondare sia spinto dalla necessità di chiudere col passato, e così è se però si ha l'accortezza di soffermarsi sul significato di passato. Spesso a cio' che chiamiamo passato affibbiamo una tappa della nostra esistenza ormai conclusa e che non ci ha lasciato nulla interiormente. Il vero valore di passato invece è nella consapevolezza che quanto vissuto ci è appartenuto e ha determinato o inclinato a chi siamo attualmente. Purtroppo per molti la necessità di cambiare esistenza coincide con la presa di coscienza di non aver vissuto la propria vita fino a quel momento e di essersi ritrovati in una condizione di costrizione. Il vagabondo esprime la condizione di scelta difficile ma necessaria per chi vuole recuperare un'esistenza incline alla propria natura e identità. Per il popolo germanico la Natura coincide con l'identità in quanto a priori rispetto a tutto. È questo il principio e un principio che il Romanticismo egheliano interpreterà come spirito inteso come forza vitale che si contrappone alla materialità empirica in un'epoca, quella ottocentesca che risente molto del forte dissidio illuminista tra Fenomeno e Noumeno, tra realtà empirica e sostanza.
Il vagabondo non è quindi colui che lascia se stesso, ma al contrario colui che vuole ritrovarsi e il cambiamento che passa attraverso la scelta più che dura di libertà è teso a questo fine.
Per vie che porteranno a conseguenza tragiche il Nazionalsocialismo germanico si spiega attraverso la cultura del ritrovarsi come necessità trasferita dal sentimento proprio e collettivo a un discorso di razza. Il popolo germanico tende a recuperare in toto la sua identità da contrapporre con violenza all'indefinito di un mondo che va incontro alla propria disintegrazione. Più che di antisemitismo bisognerebbe nel caso del Nazionalsocialismo di affronto di una realtà, quella sionista, che non coinvolge tutti gli Ebrei ma che purtroppo ha visto lo sterminio anche di quella buona parte di Israeliti che nulla avevano a che spartire col Sionismo. Questo ha conosciuto le radici della propria degenerazione in senso capitalistico proprio in determinati circoli inglesi preparandosi a un nuovo imperialismo conosciuto oggi col nome di Mondialismo.
Il tema del vagabondo avrà un grande seguito con la fioritura dei moti sessantottini perché svuotato di sé stesso e trasposto alle esigenze di svecchiamento della nuova gioventù nichilista, proprio di quella gioventù paradossalmente in antitesi col tema originario del vagabondo.

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[08:58, 29/1/2023] Sicoli Ippolita: L'esperienza del rientro e l'addio ai campi nella donna fine Ottocento

Passeggiare la sera nella purezza dell'aria invernale mi riconduce alla parte di me più antica. Riscopro sentimenti e sensazioni di viandanti, la loro pace, l'abbandono al cielo che orientava le loro vite. Rivivo le sensazioni di un tranquillo ritorno misto alla stanchezza del giorno di chi lascia la terra e le stalle per far ritorno a casa.
È questo la sera, la dimensione del ritorno sotto la fulgida guida delle stelle che fanno sognare un luogo intimo, brillante di luce calda. Un camino, un falò e la casa ritorna, riprende vita nelle anime arcane, come un luogo protetto, la placenta che ci accoglie col suo sapore domestico quando apriamo la porta di casa e il tepore ci avvolge.
Tutto era già partito in un momento lontano che continua a scorrere, offrendosi in vita, e la casa non è che la solidità di quanto vissuto e riaffiorato dall'anima.
La casa è il cielo sulla terra e il camino è il fiato di Eolo che semina e dissolve le nuvole. Il lavoro dei contadini è pesante ma perdura anche quando si è a riposo all'interno della propria casa. Ti resta dentro e riveste di reale ogni cosa. Così il lavoro dell'artigiano che, rientrato, deve pensare a quello da realizzare l'indomani e le mani dure e segnate glielo ricordano. È una missione come ogni lavoro antico. Arte e devozione che ti colma dentro, restituendoti a chi sei. Guai a staccarsi dalle proprie origini! è il tormento. È la perdizione che a noi arriva attraverso le pagine di Dumas sul racconto di Margherita Gautier e dei Malavoglia a proposito di Verga. Staccarsi dalle proprie origini è morire con l'incognita di un nuovo inizio. È non vedersi crescere come pianta tra le crepe dei muri di famiglia. È orientarsi verso una finta cultura che ti toglie da dove siedi per non darti nulla in cambio. Tante le opere anche moderne che ripropongono il tema del cordone che si spezza, spingendo alla deriva. Si può anche partire, purché portandosi dentro la casa che è profumo, tradizione, attaccamento all'identità che ci accorgiamo spesso troppo tardi che era la nostra verità.
Dumas ha scelto il nome Margherita a proposito della sua protagonista de "La signora delle camelie". Un nome ingenuo che riconduce alla semplicità della terra. La margherita è il sole in terra, piccolo e tenero a differenza del girasole. È il sole che va curato secondo le sue inclinazioni e se lo cogli, dura poco e muore. Verdi per lo stesso personaggio ha scelto il nome Violetta, altro fiore che inclina già verso la fine del "La traviata". La violetta è ancora più gracile della margherita, entrambi fiori campestri, ma a differenza della margherita che rappresenta la seduzione della semplicità che riaffiora all'improvviso, la violetta ti lascia l'effluvio del suo profumo che ha caratterizzato un'epoca nel passaggio dall'Ottocento al Novecento. La Violetta di Parma ha segnato un'epoca , quella del declino dell'aristocrazia e dell'avvento della nuova classe capitalistica che ha smantellato al Nord la civiltà contadina, frapponendosi tra l'uomo autentico e i nuovi miraggi. Verdi da buon conservatore e patriota coglie tutto questo e in Violetta fa rientrare riferimenti al nuovo sole che si leva all'orizzonte della nuova cultura moderna, avvolto da scialli di decadenza. Violetta è il vessillo della nuova donna che ha smarrito se stessa per seguire l'illusorio mondo di trine e frivolezze e che, se anche lo volesse, la nuova società le impedirebbe di rientrare in sé stessa, perché soffici e comodi sono i cuscini su cui siede chi governa e vuole la donna emancipata e piegata alle proprie imperanti esigenze.
La sgualdrina, la coquette, è una donna senza valore che campeggia sullo sfondo di una umanità sempre più volitiva verso il principio dell'uomo moderno "uso e consumo". Di una donna sedotta dall'ambizione di rendersi oggetto anche a costo di perdere se stessa e di incontrare la morte.

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[21:33, 28/1/2023] Sicoli Ippolita: Il lago e la nebbia nella visione del mago

Quando il cuore si concentra su qualcosa, raggiunge l'immobilita' e l'eternità. Un ricordo, una situazione... se non hanno uno sviluppo, ci precipitano in un'angoscia infernale, prima che gli ingranaggi del cuore si scrostino da lì e riprenda il tempo a fluire. Allora accade che quel qualcosa che aveva intrappolato il cuore si slabbri svanendo, fino a diventare niente.
La nebbia è il grigio pantano oppure, il cielo che bussa al nostro presente scrostandoci dai pensieri logoranti. La nebbia è il mistero che ci apre al cielo. Esiste la terra ed esiste l'acqua che ci introduce al cielo. Riflettersi nella superficie di acqua significa cogliere l'essenza nel tremolio delle onde che possono restituirci qualcosa di dolce come qualcosa di perturbante.
Occorre l'acqua per specchiarsi e cogliere iciò che ci appartiene. Bello e florido di gioconde nubi, come tetro e soffocante. Un ammasso di nero.
Anche la nebbia come il cielo varia e le sue variazioni interpretano e raccontano i luoghi spingendo iloro abitanti a respirare un cielo bello nel paesaggio, o al contrario, a respingerlo perché nascosto dietro una coltre grassa di fumo. Pensiamo in quest'ultimo caso alla nebbia delle città industriali, altro dalle volute campestri. Queste esalano sospiri arcani. Riproducono una vetrata nell'aria da cui lasciano sgusciare creature mitologiche mai viste ma riconoscibili. Sono figure che riemerbono da uno sfondo lontano annunciando chi siamo, dall'incontro con l'arcano.
Lago e Mago si appartengono. Entrambi rimandano ai contenuti dell'immagine, il primo riflessa, il secondo recuperata dal silenzio interiore. La M che ci lega alla Om e all'origine della vita "Mamma", così come a "home: casa" apre alla dimensione raccolta del mago che lascia risalire da dentro contenuti di verità. La difficoltà del Mago come anche del Sapiente e del Profeta consiste nel trasporre i contenuti emersi nella forma di linguaggio, per renderli comprensibili. Se nel caso del linguaggio analogico c'è una perfetta aderenza tra concetto e linguaggio, nel caso dei contenuti anagogici ed ermetici la corrispondenza manca, perché il linguaggio è strumento della ragione. Ecco pertanto intervenire l'immagine a colmare il silenzio dell'inefficacia delle parole che si rendono dipinto attraverso la metafora e ancor più l'adoperazione di una costruzione fantasiosa, nel linguaggio sacro egregiamente rappresentata dalla parabola. L'incomprensione del Mago deriva proprio dalla difficoltà per chi ascolta di entrare nella sua dimensione che è legata a un presente misterioso e che lo diventa ancora di più nel momento in cui si muove lungo la direttrice temporale, risvegliando il passato e rendendolo presente. Allo stesso tempo anticipando quanto è del futuro invisibile. Per queste caratteristiche il mago è anche veggente e in quanto tale è legato al lago e alla nebbia come velo sottile che illumina dal di dentro il mistero che è oltre. Il mito arturiano in questo è illuminante perché partendo dalla figura di Merlino introduce al significato simbolico del lago e della nebbia in rapporto ad Avalon, entrambi rappresentati nella loro solidità dalla tavola rotonda di Artù, intorno alla quale siedono i cavalieri o meglio i dodici segni dello zodiaco.

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[08:56, 28/1/2023] Sicoli Ippolita: La potenza del nome e l'orientamento del destino

Il fior di loro rappresenta la purezza cge s'innalza dai fondi melmosi. La putredine delle aree fangose rappresenta anche l'ignoranza che impedisce all'uomo di operare la giusta distinzione tra verità e illusione. La visione del guerriero per gli Induisti ma anche per tutte le tradizioni orientali e dell'Estremo Oriente si collega inevitabilmente a quella del saggio che combatte non solo per sé stesso, al fine di ripulire il mondo dall'ignoranza e di sostenere la via di chi cerca la verità.
Il dio Ganesh induista è l'esempio del guerriero saggio. È interessante come le divinità possano essere rappresentative di una definizione e del suo opposto, questo a voler investire tutte le probabilità messe in campo dal reale che ha in se' la sua parte di illusione. Una cosa appare perché in essa è presente il suo esatto opposto e su questo s'incentra l'attività della dialettica ateniese. L'idea nel Politeismo che una divinità possa incarnare anche il suo "nemico" spiega l'autorevolezza di alcune tradizioni che discendendo direttamente dall'idea dell'androgine, considerano l'alleanza tra gli opposti risolutiva e il male nell'incapacità dell'uomo di superare ogni barriera, perché ingabbiato dalle trame dell'ignoranza.
L'Uno non può avere nome. Il nome è di coloro che partecipano all'Uno, nascendo. L'Uno è la fonte del se' e il nome si concentra sulla definizione che inclinera' il destino dell'individuo. Il nome sigla il confine dell'Io estrapolandolo dal tutto, facendo sì che l'individuo inclini a partire da esso le proprie attitudini e il proprio destino. Nei miti il nome degli eroi è indicativo della loro nascita e del loro destino, e qui scatta l'elemento pedagogico e il riscatto di fierezza dell'eroe pronto ad andare contro se stesso o ad assecondarlo. Il nome è il cielo che nasconde il Noumeno. Dio è senza nome perché infinito ma inclina i colori interiori dell'uomo attraverso il nome. Amon è il dio egizio "senza nome", quindi nascosto, l'invisibile che appartiene al cielo.
Ogni individuo ha un proprio colore o la somma di più sfumature e il colore fotografa la qualità dell'anima. I nomi che gli antichi assegnavano in riferimento alla Natura, contenevano indizi sul colore verso cui intendevano indirizzare l'anima del neonato. Era Dio a guidarli in questa operazione e su queste basi il Sé del bambino e il destino da questi intrapreso finivano col coincidere. In alcuni casi invece si contrapponevano tra loro, dando luogo a personaggi esaltanti nel bene o nel male.

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L'evoluzione e gli stadi dell'essere

Noi siamo qui nel presente, ma siamo anche contemporaneamente in altri infiniti mondi. Il presente e' la condizione di consapevolezza di essere qui ma anche altrove, distanti e irraggiungibili. Il presente è l'ipotesi della mente e la certezza del cuore che nel presente acquisisce la sua forma negli occhi dell'Io.
Una madre col figlioletto in grembo rappresenta già una casa. Gli stessi con in più la figura del padre sono una famiglia. Considerando la prima espressione viene subito a mente l'iconografia ortodossa con le tavolette della Maternità triangolari che ci riportano all'immagine della casa e che ritroviamo anche negli esempi di polittico. Il discorso delle punte che ho già trattato in precedenza lo rintracciamo espressamente nel mondo russo e anche in quello islamico, mentre l'idea della canoa e della cavità del tronco la ritroviamo espressa dalle pagode cinesi e giapponesi. Esse ripropongono il tema di evoluzione lungo l'asse del mondo e il concetto di stratificazione che mette in relazione tra loro tramite proprio l'asse i vari livelli.
Per il mondo orientale la perfezione assoluta è sostituita dai vari gradi di perfettibilita' , un concetto questo difficile per noi Mediterranei da comprendere anche in relazione al concetto di compiutezza che si lega ad ogni stadio evolutivo. In un libro infinito, lo stadio di evoluzione deve essere portato a compimento per poter passare a quello superiore e ciò è possibile se consideriamo la vita una scala infinita di più esistenze relative allo stesso individuo. Ciò che noi definiamo individuo per loro è uno stadio che al suo interno consta di altri infiniti stadi e ciascuno di essi è una dimensione a sé stante. Se noi popoli medirerranei abbiamo una concezione della vita in verticale e in elevazione verso il cielo, gli Orientali vedono l'evoluzione interiore secondo il modello di una stella che si diparte con i raggi in tutte le direzioni. È quanto ci suggeriscono le immagini sacre dell'Induismo che riportano la divinità con più braccia e più teste a coprire ed esaurire il disco totale delle eventualità e possibilità che si ricompongono nel principio di volontà. È quanto la divinità induista Ganesh ci comunica attraverso le raffigurazioni pittoriche e scultoree.

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[08:18, 27/1/2023] Sicoli Ippolita: Il compiuto e il mistero oltre

Il termine "piece" lo si trova anche in teatro. Si definisce così uno spezzone estrapolato da un racconto spesso monologo. Proprio il Teatro ci fa comprendere meglio cosa intendiamo per "piece", ossia un estratto compiuto estrapolato da un insieme. È della nostra mentalità considerare compiuto quanto è prolisso ed elaborato, forse perché, nonostante il Cristianesimo che attraverso la figura del Crocifisso dovrebbe richiamare all'essenza che contiene il compiuto, ci lasciamo andare ad elucubrazioni teoretiche dispersive.
Riprendendo le ultime parole di Gesù in croce "Ora tutto è compiuto" entriamo in un tunnel che ci porta a scoprire significati uno dietro l'altro o meglio l'uno nell'altro, che aprono al mistero e ai suoi innumerevoli contenuti. "Tutto è compiuto", ci porta a riconsiderare la morte in altra prospettiva, non cone un incidente di percorso ma come una chiamata interiore a cui essa risponde presentandosi. La morte non è estranea alla vita ma è la vita stessa e l'aspetto di essa che pur non volendo noi considerare, ci accompagna e asseconda secondo la nostra volontà. C'è chi la considera uno strumento divino che entra comunque in scena attraverso la nostra richiesta non razionale ma interiore.
Qui si apre una finestra sul libero arbitrio. La vita inclina ma siamo noi a scegliere e scegliendo mettiamo in comunicazione la presenza di Dio che chiamiamo "destino" e quanto si confà a noi stessi. Che la morte sia una lama scioccante e improvvisa, il cosiddetto fulmine a cielo sereno, compare quando dentro di noi il capitolo di storia infinita legato a questa terra sentiamo essersi concluso. A questo punto quanto è presente nella cultura russa più antica a riguardo di un mondo dentro l'altro, seppur in modo più limitato, come principio è presente anche da noi. Il cuore è difficile da cogliere e da attraversare del tutto. Il nucleo del cuore resta protetto e contiene il mistero del nostro presente che contiene a sua volta tutti i tempi. Il Sancta Sanctorum ebraico spinge alla comprensione di questo principio da noi considerato limitatamente e in riferimento al tabernacolo che contiene il corpo di Cristo, riproducendo in altra luce l'immagine del sepolcro.
In Russia le matrioske rappresentano proprio la vita infinita che si ripropone su questa terra attraverso le nascite dello stesso individuo femminile che si ritrova figlia e madre, compiutezza e inizio fino alla più piccola, oltre la quale non è più possibile andare perché si schiude il mistero dell'infinito. Seppur con.le debite distanze, le scatole cinesi porgono lo stesso principio.
Il femminile è apertura e chiusura e da noi questo principio lo ritroviamo nell'iconografia della Maternità della Madonna con Bambino. Gesù siede sul ventre di Maria a indicare che è frutto del suo ventre e del suo seno, spalancandoci alla dimensione del ventre che è flusso continuo di vita e di morte. Oltre nel Cattolicesimo non si va, perché la compiutezza come principio e mistero è svelato da Cristo in Croce e si conclude con la sua Resurrezione.
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Bambina con ciliegie (Little Girl with Cherries ) John Russell
Bambina con ciliegie (Little Girl with Cherries ) John Russell

 

Il saluto in chiave amichevole e di buon augurio in inglese è "cheers". Questa parola che sembra sbucata dal nulla ha una profonda attinenza etimologica con la parola "ciliegia" e con "cara". La ciliegia già nell'antichità aveva un valore particolare.

pozzo di San Patrizio è una struttura costruita da Antonio da Sangallo il Giovane a Orvieto
Pozzo di San Patrizio, struttura costruita da Antonio da Sangallo il Giovane a Orvieto

 

Le sculture in piombo incontrano il favore di artisti e committenti dal Rinascimento in poi. Il piombo è un metallo molto resistente e che quindi si presta agli spazi aperti, nonostante non abbia l'effetto seducente e serafico del marmo sicuramente anche più duro da lavorare.