Quando muore una società? Quando la logica che spinge al cambiamento supera la volontà di conservazione.
In Italia dopo il boom economico degli anni '60 il consumismo ha divorato gli antichi principi di fondo legati a un’epoca, quella della guerra, che ha visto sconfitta non solo la Germania, ma l’intero blocco della vecchia Europa. Gli anni ‘60 designano la rivoluzione di costume e la corsa sfrenata verso la liberazione da ogni vincolo espressa da una frizzante e movimentata società dal volto giovane e sorridente che ha solo voglia di vivere e di dimenticare. L’emancipazione femminile e la diffusione dell’istruzione scolastica preparano il terreno al ‘68 che si concluderà in una bolla di sapone.
La societa’ gia’ negli anni ‘60 era intorpidita piu’che distratta dai narcotici mediatici che proponevano un mondo in fioritura senza evidenziare il baratro o il muro a cui sarebbe andata a sbattere con i piedi pigiati sull'acceleratore. L'edilizia e le grandi opere pubbliche avevano un grido più forte rispetto all'orrore per lo sperpero di danaro o di suolo, dall’emissione di un esile riverbero.
Ci si sente invincibili mentre si corre, nonostante le pellicole americane spronassero alla riflessione in modo cauto e tentassero anche se in piccola misura, di socchiudere gli occhi su una società giovane che non si cura affatto dei giovani, in quanto contraria a investire per il futuro. Creare in prospettiva non significa garantire un presente illusorio, ma far si’ che l’attuale assetto socio culturale perduri in termini di offerta in servizi e stabilita’. Proprio questo non è stato fatto e le opere faraoniche montate da zero in quel periodo ci stanno presentando un conto amarissimo.
La propaganda reazionaria anni ‘70 non sara’ che il risultato di un’opera di distrazione di massa gestita da occulti poteri che si contendevano fette di culture e intere nazioni, innescando spargimenti di sangue che di eroico non avevano nulla. America o Russia? Era il dilemma, senza considerare che i poteri forti puntano esclusivamente ad alzare la cresta della cupidigia, alla faccia di chi assume posizioni a favore o contro un’ideologia politica.
Conservazione o cambiamento?
E’ strano come in Italia la conservazione sia additata con attributi negativi e il cambiamento invece cresca sulla convinzione che a prescindere rappresente qualcosa di buono. Anche nel 1860 ci fu il cambiamento. Il Sud steso dai Piemontesi e la Mafia, la Conservazione, deriva proprio da quel cambiamento. Si cambia col pretesto di non fare niente e sgravarsi di ogni responsabilita’. Per acquisire il controllo del territorio in termini di profitto e non di tutela, senza voltarsi a guardare indietro, ne’ rivolgersi alla radice dei problemi. E intanto, la fotografia dell’Italia che oggi vien fuori e’ un puzzle in bianco e nero di pezzi che mal s’ incastrano tra loro. Mancano i dettagli e i dettagli dicono tutto. Pezzetti minuscoli che facciano emergere l’intero. Manca quella presa di coscienza capace di farci dire che l’Italia tutta deve rivedersi e che la criminalita’ orgnizzata non è un qualcosa che si compra qui al Sud perché conviene, ma è strutturata capillarmente in questa cultura del cambiamento dalle radici lontane ma non così tanto, che fanno capo a quel superato 1860 quando i ladroni del Nord ci vennero a depredare, dando vita a una scellerata opera di sfruttamento e di decremento culturale che volgarmente chiamiamo Mafia.