La Parola vergata è la spada incisa nella roccia del tempo. La Scrittura diventa così di stimolo all'azione e forgia il carattere. La Parola apre dibattiti e diviene terreno fertile per chi assume le redini del comando di un popolo.

Velocità e apertura del Pensiero andavano nell'antichità di comune accordo con il confronto dialogico culturale che ammetteva un vincitore e un perdente. Lo stratega e condottiero aveva in sé la misura delle cose a cui veniva indirizzato grazie allo studio del Pensiero. Il Verbo vergato presuppone una visione ordinata del campo mentale convertito in terreno di battaglia. Lontano dall’impostazione etico metafisica del racconto mitologico o aneddotico che vede in gioco schieramenti di divinità a favore o contro il guerriero eroe determinandone la vittoria o lo schiacciamento, il resoconto storico scritto vale da documento di una minuziosa freddezza quanto lucida narrazione del vero. Il rimarcamento e la demarcazione del dato scientifico o fatto accaduto passa attraverso la differenziazione tra il narratore, influenzato dalla trasmissione orale, e lo storico che utilizza la scrittura come un bisturi preciso e tagliente.

Il quadro mentale dello storico si riflette nella figura di Tucidide. Di nobile discendenza partecipo' come condottiero alla Guerra del Peloponneso. La sconfitta della battaglia contro Sparta gli costò l'esilio sulle motivazioni del quale indaga in maniera scrupolosa e ponendo a confronto vari documenti risalenti al periodo o immediatamente successivi, il prof. Luciano Canfora, la cui ricerca è passo passo riportata nell'appassionante saggio Tucidide. La menzogna, la colpa, l'esilio. Oggi, con l'avvento della scrittura telematica la figura dello stratega è andata in sonno. Non si è più padroni del proprio pensiero per la mancata incisione delle lettere sul foglio. Di conseguenza la nostra società tende a sfornare uomini dalle vedute ristrette e ondivaghe. Il campo aperto del pensiero è percorso dalle ombre di una mancata consequenzialità tra il prima e il dopo, portando a lacerazioni profonde nell'operato di chi ci amministra.
La politica oggi è ridotta a puro calcolo egoico affidato al prestigiatore di turno. Occorrerebbe recuperare la figura, non solo in chiave allegorica, del politico stratega. La Tuche, la dea Fortuna, che per Tucidide è il risultato dell'agire umano imprescindibile da questo e dal Destino determinato dall'uomo stesso, concetto ripreso dall'Illuminismo e che ritroviamo nel Pensiero Romantico manzoniano, oggi viene scavalcata da una visione superficiale dell'azione incapace di pregnare il soggetto, né tanto meno la società di riferimento. Manca l'incisività della penna che traduca il Pensiero e la Riflessione in azione. La Fortuna è il momento che accarezza ma non tocca e non segna, in quanto passeggera come tutto. La Tuke invece per gli strateghi greci era il fattore che autodetermina l'uomo con la sua azione, toccandolo e deviando così il corso dei fatti. Il verbo onomatopeico toccare e la parola Tuke hanno in comune la radice etimologica. La Fortuna è un prodotto dell'uomo e incide nell'andamento dei fatti, come ci racconta Tucidide con graffiante e ippocratica scientificita’.