Uno degli effetti che si riscontrano a seguito dell’allontanamento, nonche’ del disconoscimento, dalle radici etimologiche delle parole e’ indubbiamente l’uso improprio delle stesse che ha prodotto non solo confusione, ma come conseguenza ancor piu’ grave, la perdita del loro significato originario.
Non esenti da questa translitterazione sono i termini che indicano sentimenti. Tra i più comuni la pietà e la pena un tempo drasticamente divisi l'uno dall'altro. Oggigiorno siamo portati a utilizzare entrambi questi termini indifferentemente, del tutto ignari della diversità che li contraddistingue.
Per afferrare bene questa diversita’ dobbiamo ricondurci all’uso antico di entrambi i termini, nonche’ alla loro radice. Il termine pieta’ dal latino pietas c’immette in un ambito che definirei sacro. La pieta’ per gli antichi era di fatto il sentimento degli eroi armati di virtu’e per questo esempi da emulare. L’antico Ulisse come il piu’ recente Enea sono modelli di pietas, quindi uomini pii. Enea ancor piu’ di Ulisse, il semidio che lotta con se stesso per non cedere alle tentazioni che il lungo viaggio per mare gli riserva. Enea è il pio per eccellenza, devoto agli dei, alla patria e alla famiglia e tramite lui l’autore Virgilio si fa interprete dei principi dell'età augustea su cui impostare la grandezza di Roma. L’Eneide la possiamo intendere come la narrazione di un’impresa all’incontrario rispetto all’Odissea in cui l’eroe Ulisse lascia la propria casa per andare a combattere.
Nell’Eneide Enea, l’eroe troiano riuscura’ a portare a ternine la fondazione di Roma, infondendole i valori propri della patria d’origine. L’amore per Didone viene cosi’ ad essere superato da questo comando divino a cui lui adempiera’ portando a termine la missione. Il poema rimasto inconcluso offre pero’ molti spunti di riflessione a partire dalle differenzee tra il mondo greco omerico e quello di molto successivo legato all’eta’ romana augustea. Il legame culturale tra le due terre, quella latina e quella greca apre spiragli a un confronto dialettico al termine del quale emerge l’identita’ della civilta’ latina tra analogie e dissonanze col mondo greco di origine. L’eco che lascera’ riverberare a distanza di secoli la citta’ eterna la riscontriamo con Mussolini che si richiamera’ agli ideali della pietas nella propaganda fascista. La pietas ha come risvolto la proposizione di un modello di ordine a cui attingere e da perpetuare col concetto di solidita’di stato. Il forte richiamo alla sacralita’ dei valori travalica i termini della propaganda e dell’indottrinamento ergendosi a pilastro di una nuova civiltà che attinge al passato. La pieta’ e’ un sentimento di devozione che osserva un doppio andamento dall’alto verso il basso e nello stesso tempo di circolarita’ diffusa. La pieta’ e’ proteziobe e compassione, riconoscersi nell’altro e riconoscere di fare parte di un’unica famiglia emanata dall’alto, che quindi va tutelata.
Altra cosa e’ la pena, poena in latino. Questa e’ intesa come castigo anche materiale attuabile anche con la corresponsione di danaro. La pena esige e non tollera. Parte dall’alto in nome di quella giustizia di cui lo Stato si fa garante. la pena e’ un sentimento che in apparenza pone sul piedistallo colui che la prova, ma in realtà e’ avvilente per tutti perche’ privo di compassione e di quella circolarita’ che abbraccia tutti facendoci sentire alla pari in un’unica famiglia.