Che cos'è la nostalgia se non l'espressione di un ritorno negato? La sete di appartenenza camuffata da indelebile ricordo? Chi l’avverte, trascina la propria vita da esule in una realta’ doppia che lo fa sentire qui e nel non luogo caro, straniero nella quotidianita’.
Nello stato di sradicamento avvertito agli inizi del Novcecento, lenta era la presa del ricordo relativa a un tempo non lontano in cui la soddisfazione delle conquiste raggiunte si mescolava al frastuono di luci e vivacita’ vissute con smoderata raffinatezza. Se vogliamo comprendere la poetica di Primo Novecento, dobbiamo spingerci al di qua del cancello di un terribile cambiamento che a breve avrebbe trascinato l’Europa in un fiume di sangue. Al di qua c’era la cultura positivista ancorata ai dettami di un'aristocrazia ancora fiera della sua posizione privilegiata, degli agi e delle frivolezze di cui godeva. La nuova borghesia, protagonista del nuovo secolo, si mostrava emulatrice del prestigio sociale aristocratico che aveva dominato per secoli e ora destinato a tramontare.
Stava mutando la concezione del mondo, radicalmente e violentemente. Il liberalismo borghese trionfera’ sull’antica configurazione politica degli stati, apparecchiando nuovi schieramenti e alleanze. Reggevano ancora disciplina e rigore perseguite nelle scuole che intanto tendono ad accogliere anche i borghesi meno abbienti in un processo di modernizzazione e di apertura che non nasconderà poche insidie. La lotta generazionale all’interno delle famiglie rifletteva una esigenza di cambiamento che accelererà il ritmo e condurra’ l’Europa sull’orlo della catastrofe. Il pretesto lo si ritrova nell’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando ad opera di un nazionalista serbo a Serajevo. Gia’ in precedenza l’attentato del 1898 all’imperatrice d’Austria Elisabetta, opera di un anarchico a Ginevra, aveva lanciato allarmanti segnali sottovalutati all'epoca. L'omicidio di Serajevo apre nuovi scenari sull’onda del cambiamento che infiammera’ l'Europa. La popolazione ne uscirà distrutta, si dissolverà quell'aura magica di nazionalistica esaltazione servita solo ad infervorare gli animi a lungo addormentati in un sordido e apatico letargo.
Il primo conflitto mondiale trascino’ in un turbine di sangue i giovani di ogni provenienza e classe sociale mettendoli di fronte alla dura realta’ della morte. I combattimenti uomo a uomo non furono ammortizzati dall’uso frequente di armi da fuoco ad alta precisione o dall’introduzione delle trincee. In tanti furono a rimetterci la vita e i pochi fortunati fecero ritorno a casa feritii irrimediabilmente e stravolti dalla funesta esperienza. L’assurdita’ di tanto orrore difficilmente trovera’ redenzione e giustificazione nello spirito di una nuova visione del mondo fatta di indipendentismi e sovranismi.
Al fianco di intellettuali a sostegno della guerra in tutte le sue componenti patriottiche, comparirono coloro che come Ungaretti ravvisarono la fragilita’ dell’uomo dinanzi alla macchina della guerra resa efficiente grazie alle innovazioni scientifiche e tecnologiche apportate dal Positivismo.
L'assurdità come nuova condizione tangibile e insopprimibile penetrera’ nei tessuti della nuova societa’ e contagera’ l'arte europea. Artaud così come l'esordiente Chaplin nelle loro pur diversissime pantomime dell'uomo del loro tempo riprodurranno nel teatro come nel cinema quella condizione di disadattamento che trovera’ sfogo in varie poetiche come quella montaliana del Male di Vivere, conferendo sprint e una nuova impronta alle discipline umanistiche orientate verso le nuove frontiere sociologiche.
Con la nuova visione del mondo si ridisegnano gli ideali di patria e di famiglia. I conflitti maturati non risolvono i nodi stretti attorno all’Uomo e negano una spiegazione allo sconcertante dolore, concependo un nuovo modello di umanita’ che guardera’ sempre piu’ oltreoceano, contribuendo alla realizzazione del mito americano.