Il dolore è scomparire. Assentarsi dal mondo per dileguarsi nel nulla che è una stanza senza luce. Nessuno è più solo e più distratto di colui che è immerso nel dolore.
La vera solitudine in fondo cos'è se non continua distrazione dal mondo e da noi stessi? Non possiamo esistere se non in relazione al Tutto che è la Verita presente nella Natura e nel Cosmo. Il dolore ci astrae da ogni correlazione energetica per portarci in un luogo tutto suo, freddo e inanimico.
C'è dolore e dolore. Dipende da noi che uso farne, se uscirne o lasciarci trasportare nell'indefinibile, perché anche le parole che fuoriescono da noi sono nostre in relazione al Tutto e chi soffre veramente riesce ad uscire, a sfondare la porta della tetra stanza. Chi invece soffre rinunciando a vivere, fa una scelta che significa entrare in un tunnel da cui non è previsto ritorno. Chi accetta il tunnel, accetta di vegetare e rinuncia alla morte che è passaggio a un'altra luce. La sofferenza che si trasforma in giacenza non contempla la morte che ci permette di andare oltre e altrove. La sofferenza che catapulta nella depressione catatonica è oblio. È sparire essendo presenti. È non avere più voce e traslocare nella stanza grigia.
In questo dipinto vediamo il contrasto tra il sole sparpagliato nel suo bagliore all'ora del tramonto e la fredda giacenza dell'uomo. L'astro, riflettendosi nel fiume evidenzia il legame che cinge e dà voce alle cose mettendole in correlazione. Su un lato la solitudine prostrante dell'uomo adagiato sulla panchina, che rimane chiuso in se stesso nella sua rigida e mortificante immobilità che fa chiudere gli occhi al mondo, raccogliendolo in una muta invisibilità. È accecante il contrasto tra il fragore rosso del tramonto e il deserto che invade l'uomo, ancor più evidenziato dalla neve che atrofizza suoni e movimenti.
La morte del sole è colore e sprizza vita. È promessa di gioia nel ritorno che irrompe nel ciclo vitale delle cose le quali si concedono a lui dal di dentro.