È tagliente la vita nelle sue profusioni, negli ingannevoli salti nella gioia e nella pace. La leggerezza parla molte lingue a volte amare. È levità che incanta e poi ferisce aiutandoci ad entrare nel porto della maturità.

L'ingresso nella maturità è considerato un arrivo e una fine, una meta assoluta. In parte lo è se inteso come fase della vita. Un traguardo non è mai il fine, ma un nuovo modo di orientare le vele nel peregrinaggio sugli abissi. Il mendico continua ad essere tale ma con una maggiore consapevolezza che gli consente di andare oltre e di non ristare sulle cose. Quando si affastellano le esperienze vissute, l'odore dei ricordi va oltre la poeticità emozionale, permettendo all'anima di denudare gli eventi e lasciar cadere la loro leggiadria. E allora succede che quanto ritenuto gioioso assume fattezze di irrisolto senso e quanto invece era sembrato tenebroso acquista una luce bella a vedersi. Lo stesso dicasi per ciò che era scivolato negli occhi per la sua morbidezza e levità, di colpo compreso nella sua ruvidezza. La malinconica presenza del tempo che fluisce depositando segni, si scopre avere una musicalità prima disconosciuta, la stessa che avvertiamo al tatto in un'opera intarsiata e scolpita. Ciò che siamo conferisce levigatezza al tutto, che si traduce in armonia. La maturità allora è la capacità che si acquisisce e permette di smussare angoli e colmare crepe. Come fa il sole giocherellone e un pò birbone tra le nubi. Con le ombre che sposta e dirige. Con le cose a volte fatte splendere e danzare nella luce, altre volte incrostate di crepe e inaridite come piante stanche di essere e di subire.
Nel ciclo della vita si va fin dove il corso delle cose lo permette. Il male che era, si comprende che è sempre stato Bene incompreso e che solo il senso che noi diamo alle cose ci permette di farci da loro attraversare per dentro di noi ristare.