Era questo il tempo del rientro.

I sogni elaborati in estate e consumati dal ritorno in città si trasformavano nel sapore dei cibi che portavamo con noi a Bari. Salsicce, soppressate, il gallo ucciso di proposito dalle zie prima che partissimo... la terra lasciata e i cari affetti erano destinati a permanere in noi e a divenire sangue nel sangue come promessa di un ritorno.
I luoghi siamo noi e io non ho dimenticato i luoghi a cui appartengo e li vivo ogni giorno nel presente. Quei sogni si sono estinti nel tempo, ma le persone che me li hanno ispirati perdurano in me.
La Calabria, terra dei ritorni, mi ha insegnato la nostalgia e la malinconia per il non raggiunto. Terra di Resurrezione continua nel ciclo della vita, io le apparterrò per sempre.
Io avverto molto il passaggio all'autunno. Il declino della luce e le ombre nebulose che si fanno più intense sorgendo dall'orizzonte salmastro. Il declino dell'estate spalanca il mondo delle tenebre e del dolore di lasciare a piedi nudi ciò che è finito. La giostra della vita dopo l'apice ferragostano socchiude gli occhi e si ritira nel grembo del suo sogno.
Per me questi erano i giorni dell'addio. Mi preparavo da ragazza al rientro in città, che aveva di anno in anno l'odore di un amore conosciuto e impossibile. Del tuo volto triste e malinconico che conservo tuttora cucito al cuore.
L'addio l'ho conosciuto allora nel tempo che fluisce e resta acerbo senza avverarsi. Come un embrione nel limbo della realtà che ho imparato dopo anni a comprendere. Fogli di poesie e parole che tracciano il tuo profilo rubato alla luce delle stelle e quel languore che ancora mi porto dentro insieme all'illusione che tu esistessi solo per me.
Terra mia, che danno... ma da tutte quelle spine è fiorita l'anima a cocci, ciascuno di uno splendore unico che aspetta ancora sull'uscio una primavera che mi nutra.