Il tempo di allora quando?

Presto diventerà da poesia leggenda il tempo dei nostri avi, poi dei nostri nonni e genitori. Quel tempo della gioventù col sorriso pieno e che ora sa di vecchio. Ciò che passa e lascia l'eco della dissoluzione diventa memoria incantata, con tutti i suoi dolori e le sue inadempienze. Il sociale era l'individuo felice, sereno e speranzoso che trovava una collocazione all'interno del tutto.
Sarebbe bello che si ritornasse ad allora, a quando le maestre erano tali, mamme accorte allo studio dei loro piccoli e si studiava osservando i campi, ascoltando il vento e il tempo che bussava alla porta delle stagioni. Lo sguardo fisso oltre la finestra, sul mondo.
Sarebbe bello che tornassero le case e le cose di una volta, ciascuna delle quali aveva un nome. Oggi, a che vale più conoscere il nome delle cose? Chiamiamo per nome ciò con cui instauriamo un rapporto di familiarità. Ma oggi esiste solo distanza nella raggiungibilità di tutto. Le case di un tempo profumavano di dignità e di cose vissute. Si stava dentro più che fuori e le cose di quel tempo sanno di umano e tracciano storie. Oggi la casa ha il vissuto contato e concentrato in.una manciata di minuti al giorno perché nessuno la vive più. È un transito obbligato, un guscio per le vite che, nella metratura sempre più contratta, vivono da estranee.
Il tempo che non torna diventa leggenda nell'anima che ha smesso di aspettare e ha chiuso la porta. L'anima, un giardino di cose morte e di rose spezzate, che esala un profumo di antico e non ha occhi con cui guardare la miseria del presente.
Allora c'era tempo per tutto e per gli affetti che venivano ripagati dal mondo vero, dalle persone che erano sul serio vicine, così come dai quadri di paesaggi, dalle zolle di terra portate a frutto e dalla natura. Un tempo c'erano i botanici, gli agronomi, i medici in bicicletta che accorrevano e soccorrevano. Un tempo... c'era davvero poco ma si viveva di tanto.
Era un mondo semplice quello di allora. I giudizi per quanto severi, invogliavano a proseguire e a migliorarsi e non si estendevano all'ambiente famigliare. I voti bastavano a farti sentire utile e gratificato. Non esistevano masters o trovate succhiasoldi. Si valeva senza ma e senza se. Poi è uscito il progresso, la civiltà informatica e l'uomo non rende più. Gli stages, le specializzazioni plurime non bastano a competere con la tecnologia e gli uomini non sono più uomini. Macchine anch'essi in gara con i robot.