Le mani sono la risposta all'Universo. Repulsione o trasmissione della sua energia creatrice. Dio è il Cosmo che contiene ogni cosa e ogni impulso ad essere, e noi attraverso la mente interpretiamo tutto ciò come il frutto di meccanismi logici in cui l'anima è la vera assente.
L'Arte in passato esprimeva il senso della misura di Dio come simbolo, o dell'uomo nello spazio. Con l'avvento della fotografia l'Arte è diventata esuberanza ed eccessiva folgorazione del nulla. Lo stesso la moda, oggi avulsa da tutto e racchiusa nei suoi insulsi perché. Al contrario dei sogni che mantengono la loro semplicita' legata all'alfabeto archetipico, nonostante le complicazioni che rivoltano la quotidianita’, specie odierna.
È incredibile come lo stupore di risposta a un'immagine di miracolosa evocazione sia generato da ciò che accarezza l'immagine nella sua nudità e si frapponga tra lo sguardo e la stessa. Noi cerchiamo senza volerlo. Siamo nati per cercare e in questo è il senso del nostro cammino. Poi l'occhio centra un qualcosa e allora ci fermiamo, per quel sorso di beatitudine che procura refrigerio. Tutto ciò che ha un senso ritorna, perché impresso o per imprimersi, così le parole e i discorsi. E anche i sogni, finché non abbiamo assimilato quel cofanetto di verita’. Spesso ci sfugge che è costei a cercare noi e noi a trovare lei facendola nostra. Allora, che cos'è l'ignoranza se non profana dimenticanza? E cosa si può dimenticare di così determinante che non sia l'origine?
Che gioco, le onde... portano impressa l'armonia del cielo. Il sussurro continuo, litania e ninnananna di sfondo ai giorni, affinché recuperiamo tra isole nel vuoto ciò che abbiamo perduto. Si schiude la valvola del pensiero superiore, libero perché assoluto e comprendiamo che il Creato è una sconfinata danza tra il nulla in procinto di creare e il vuoto generato dalla Luce che contrae tutto assorbendolo e facendolo proprio.
Nel registro dell'anima dell'artista niente di questo sfugge. Ecco l'Arte, la fermata al delirio della vita che, se vissuta divorando, non lascia nulla. Allora, quanto contiamo noi e quanto deliberatamente? Dove ci collochiamo? Nel prodotto sferzante il tempo o nel silenzio nascosto che poi rompiamo creando? La Creazione sguscia dal silenzio e oggi di silenzio ne abbiamo davvero poco. Vorrei che fosse il nostro battito organico a scandire il tempo mentre ubriacati di daffare andiamo avanti, sempre affamati di emozioni in cui perderci come in giri senza fine alla ricerca di un linguaggio che ci rappresenti anche nella forma oggi così burrascosamente aleatoria, aggrappata alle nuvole di un vuoto esistenziale. Manca la giusta interpretazione che ci faccia ascoltare ciò che è nostro e che a noi faccia ritorno liberandoci dai sedimenti arbitrari di una cultura sradicante. Il Vero e il Bello allora, solo allora danzerebbero all'unisono lontani dallo schematismo volgare che ha imbastardito il repertorio immaginifico dell'Arte, facendoci col pensiero vedere profanita’ e nefandezza la'dove l'essenziale nutrirebbe lo spirito.
La profanita' e’ figlia della luce e del pensiero che schiude il percorso al nulla. Il Simbolo e le sue creature Muse della sapienza arcana che andrebbe ristabilita, invece abitano i regni surreali dell'ombra adagiati nel sottobosco del pensiero, nel dominio notturno della Maga e della Madre, nelle sue viscere, e tra le sue tube dove albeggia l'Arte e lo stupore del Mondo. Il nulla riposa tra le anche della dea e va prendendo forma nella luce e a lei l'uomo Pensante dovrebbe inchinarsi. Ecco quindi sgorgare una nuova identità della statua di Vigeland. Qualcuno vede in questa opera un gesto erotico spiazzante, anziche’ la disperazione di un uomo che cerca conforto all'interno di una donna, di rientrare nel piccolo guscio che lo ha generato. La donna è la tana, il rifugio dei grandi che vogliono accucciarsi per ritrovarsi bambini a riparo dalle insidie del mondo. Il pube ovattato è la nicchia nascosta tra gli sterpi, in cui l'individuo può ritrovarsi integro , in altra realtà dagli oltraggi del mondo.