Il vento è abbandono. Fiato in gola scippato dal dolore. Nel vento ci si ritrova e ci si disperde. È la folla che inghiotte la mano di un bimbo che torna ad essere solo, senza più la madre. È il vorticare della gente nella foresta pietrificata di simulacri che vanno e vengono, a volte c'incontrano per mostrarci la via e l'apertura a un nuovo sentire, a un nuovo vedere. Il vento è questo, e abbandono ai sensi. Ci viene incontro per portarci via da dove siamo. Eppure, la nostra storia da lì è cominciata. Dal fiato di Dio che, separandoci, ci ha visti uniti.

Il mio io nel vento
Eppure, è come se lo fossi da sempre,
il mio io mancante.
Lo sento schiumarmi tra le labbra.
E sento te.
Aspetto la notte
per poterti udire
nei sibili del vento tra le imposte.
Corri veloce
come un animale selvatico
e ti pieghi al piccolo
quasi planando,
per acquietare i miei pensieri,
come una mamma rondine con i suoi pulcini.
Sei un turbine feroce
che si abbandona alle stelle.
Un bimbo nella cesta della notte,
affidato alla corrente
e alle sue avventure,
fra dossi di nubi che
si radunano incontro
al sole nascente.
Ti ritiri, torni e vai via.
Mi tieni sveglia, mi svuoti e mi riempi.
Mi mortifica il ritmo
che imprime la tua assenza.
Ma più non posso contrastarti,
perché il vento non mi ascolta
e mi scivola di dosso,
graffiando le ferite
che ancora porto.
Ippolita Sicoli