Quando il calcio era uno sport e non un'opportunità per arricchirsi smoderatamente, c'erano i grandi campioni e c'era Paolo Rossi.
Quando il Calcio sfornava atleti che si lanciavano sul pallone senza freni e paure, c'erano i grandi calciatori e c'era l'Italia sempre in finale. Io ero bambina e a quei tempi le partite della Coppa del Mondo erano eventi irripetibili che tenevano incollati allo schermo interi nuclei famigliari in compagnia di birre e panzerotti. Non c'era quasi null'altro in tivù e i campioni erano ragazzi ma anche eroi, ragazzi sul punto di divenire uomini come lo erano i nostri padri ancorati al solido universo rappresentato dalla famiglia e in forma più grande, dalla Patria.
Quale ragazzina di allora non ha sognato di incontrare Rossi o Cabrini al pari dell'idolo di quei tempi, l'esordiente Miguel Bosé?
Paolo Rossi era un azzurro e lo era davvero negli anni Ottanta quando non si era superpagati come lo sono i giocatori di oggi e quando le grandi società erano ancora in grado di far rispettare i confini nazionali. Erano azzurri per nascita i nostri eroi, e con fierezza correvano per il campo doppiamente motivati e dal gioco e dalla loro italianità. Poi il Calcio è diventato un mercato preparandoci all'avvento della globalizzazione e cognomi stranieri hanno iniziato a prendere sempre più piede nelle squadre che avevano il nome della città di provenienza e per giocatori i figli di quella città che rappresentavano degnamente nel Calcio. Erano nomi che imparavamo a memoria come fosse una filastrocca. Chi non ricorda o non ha imparato allora, la composizione della nostra Italia ai Mondiali dell'82?
Poi è arrivato Maradona e dopo di lui il Calcio è stato altro, non più uno sport ma un campo di guerra tra squadre avverse composte da giocatori arrivati da ogni dove, in cui la bravura serviva a portare soldi ai grandi club e in ultimo alle pedine da gioco. Droga, doping, scandali... e la corruzione che non ha risparmiato neanche lo sport nazionale e da numeri uno siamo retrocessi in fondo, fino a scomparire dalla classifica dei Mondiali.
Che ne sanno i ragazzi di oggi che significato ha essere campioni? Me lo chiedo da tempo. Da qualche anno, da quando basta un click su fb a far vincere quel dato elemento a una competizione qualsiasi. Benedetti clicks che se sei davvero bravo o bello ma non li prendi, vieni scavalcato da altri non di certo più meritevoli di te, che però hanno alle spalle genitori, nonni e zii che da mattina a sera invitano amici e contatti a cliccare per far vincere il loro rappresentante. È tutto più facile adesso. E anche troppo. Troppo facile e troppo squallido è vincere.
Con Paolo Rossi se ne va una generazione di uomini perbene. Senza vizi e virtuosi di natura. Durante la Messa del suo funerale che stanno trasmettendo per televisione mi sembra di assistere per la seconda volta alla funzione di addio a mio padre. Papà aveva un'ammirazione infinita per Paolo Rossi che gli somigliava tanto per quello che del campione si sa, ossia per sensibilità, senso di servizio, profonda Fede e serio rispetto per le Tradizioni. Oggi per me è un giorno molto brutto, per me che mi sento legata alla sua famiglia da un forte sentimento di condivisione, senza averla mai conosciuta. Mi rivedo in Federica e nelle figlie affrante per la dipartita del loro amato congiunto che da giocatore mi aveva colpito anche nell'aspetto, per quella capigliatura morbida e boccolosa che avrei ritrovato nel mio primo grande e vero innamoramento insieme alla sua ritrosa serietà. Rifletto ora e col senno di poi dico che i veri protagonisti di qualsiasi storia acquistano luce proprio per quei dettagli poco eclatanti, che entrano nel mondo privato della gente comune, diventando semi per sentimenti importanti.