Un tempo la gente sentiva dentro di sé il richiamo a tutelare se stessa attraverso il legame alla propria terra, alla propria famiglia, mettendo in atto un processo psichico che garantiva stabilità.

Oggi non è più così. La precarietà, un termine che abbiamo imparato a conoscere in relazione al mondo del lavoro, promuove una serie di cambiamenti atti a modificare la genetica della cultura rappresentativa dell'uomo a livello globale. Il globale ingloba e annienta le singole sfumature che determinano la bellezza dei mondi singoli che compongono il mondo intero per come lo conosciamo. Il processo di annientamento e cancellazione delle singole individualita’ sembra oramai inarrestabile e non solo a causa della distorsione mentale che corre tra i fili della rete a una velocità schiacciante che inibisce il cervello. Se è vero che siamo energia e produttori oltreche’ veicolatori di energia, il mondo tutto, anche le aree più remote non sono esenti dal flusso di trasformazione che emettiamo e che sta travolgendo e stravolgendo ogni singola realtà.
La cultura della precarietà oltre a destabilizzare, rende l'uomo volatile nei confronti delle responsabilita' a cui è chiamato dalla nascita. L'uomo è portato a combattere per i suoi principi, per i suoi affetti (le trame mitologiche ne sono una rappresentazione vivida) e ciò ancora oggi ci porta a confrontarci col significato dell'arte della guerra. L'arte del combattimento nel tempo moderno soppiantata dalle scuole militari, in Occidente ha tra i suoi esempi di maggior pregio gli ordini cavallereschi oggi limitati a puro folklore o rifugio di nobili nostalgici. In Medio Oriente, laddove il nomadismo era radicamento culturale, l'arte della guerra ha forgiato ordinamenti teocratici, fondendosi con un atteggiamento religioso estremistico che in Oriente viene limato e affinato da regole e tattiche atte alla perfezione dello spirito.
Tutto questo oggi non c'è quasi più, se non nelle steppe più ad Est ancora schive nei confronti della tecnologia, radicate nella loro memoria e per nulla intaccate dalla speculazione dei padroni del mondo. Altrove invece, inclusa l'Afgrica, il pensiero imperante ha ottenebrato il richiamo delle radici, stimolando una società molliccia, propensa all'abbandono. Il risultato? Laddove si era forgiati alla lotta, ora c'è ipocrisia e odio verso la cultura dei padri, portando la società lì presente a offrirsi al carnefice mascherato da salvapopolo, causa di guerre e migrazioni tra etnie e tribù anche confinanti. E così sono nati i profughi. Il prodotto di un progetto molto accurato, stabilito a tavolino che frutta tanti e tanti soldi, manovrando ingenti flussi di gente morta già prima di partire, in quanto incapace di sognare una vita tra le proprie braccia.