Nella luce ogni pelle è un velo e come tale nasconde e rivela. "Velo" e "rivelazione" che lo contiene sono presenti nella poetica di Dante il quale superbamente descrive il passaggio della luce nei corpi che ad essa tendono e da essa si fanno assorbire mantenendo ciascuno la propria visibile identità.
La tensione verso l'Alto è quanto lui recupera dal patrimonio islamico a cui la stessa Comedia si riconduce. Al centro vi è infatti il processo di evoluzione spirituale per gradi che considera la trascendenza come luogo di arrivo. È questo un concetto verticistico che si riporta alle piramidi così come alle costruzioni a gradoni quadre delle zigurrat sumere, così come alle piramidi più antiche d'Egitto. È una visione quella dantesca che contempla le tre figure geometriche capitali dell'antichità: il cerchio che geometrico proprio non è se ci riferiamo agli angoli qui inesistenti, il triangolo e il quadrato concepibile anche sulla base della simmetria obliqua di due triangoli equilateri.
Se le religioni orientali collegano l'uomo a una visione immanentista dell'Assoluto, quelle mediorientali sono a prevalente carattere trascendentale. Ciò comporta l'elevazione nella luce che è esterna all'uomo e di cui l'uomo e la natura sono un riflesso che va coltivato attraverso la fede e le pratiche iniziatiche. Campeggia la visione del sole sul cui significato e valore mi sono già espressa precedentemente.
Dante attraverso la croce fa incontrare l'immanente con il trascendente superando così l'astrattismo di ogni dottrina. Visualizzare equivale a contenere e a raccontare con dovuta immediatezza ed è quanto il Medioevo insegna attraverso i racconti degli episodi più salienti delle Sacre Scritture riportati su pietra o vetro (questo a proposito delle vetrate gotiche) degli edifici sacri. Raccontare con immediatezza ricorrendo alle immagini pittoriche o scultoree significa obbedire a un richiamo che si renda presente nella contemporaneità e vada oltre, lasciando una preziosa testimonianza di sé nel futuro. Il Medioevo è vita e lo capiamo dall'attenzione attenta rivolta ad ogni forma di tramandamento e anche dall'importanza dell'oralità che ha permesso di conservare le radici nel tempo. Nonostante si creda che la tradizione orale non perduri e si vanifichi nel tempo, è vero il contrario. La voce pone una resistenza forte che travalica ogni confine e s'impone al vento dei tempi. Si creano così basi solide a una struttura duratura che ha come contenuti quelli propri dell'immaginario popolare che nei secoli ha cementato una cultura a sé stante rispetto a quella ufficiale, soggetta alle necessità temporali e al potentato di turno. Possiamo quindi asserire che quanto attiene al patrimonio popolare ha una sacralità metastorica nonostante la leggerezza e la vulnerabilità conferite dalla parola ascoltata. Dio parla all'uomo attraverso sogni e visioni, dando vita a una letteratura che ha manifestato cedimenti e incongruenze proprio nel momento della sua stesura scritta. Dio è fiato continuo ed emissione di getti che plasmano e ci effondono.
Dante acutamente si pone il problema della lingua adottando per scelta il volgare di più facile comprensione rispetto al latino riservato a clero e aristocratici. La sua operazione parte già dall'utilizzo di metafore e di immagini ben costruite e visualizzabili dal lettore che ha come la sensazione quella di percorrere i corridoi di una pinacoteca. È la visione che suggerisce Dante portandolo ad elevarsi sul credo comune e facendo sì che arrivi a noi una parallela visione del Sacro rispetto a quella del suo tempo. Ad esempio la croce nella luce e non nella notte del dolore vissuto dal Cristo in agonia. Una visione parallela che scavalca la dottrina rigorosa medievale e prosegue dignitosamente per via iniziatica attraverso la scuola rosacrociana e non solo, con cui Dante era in sintonia su vari punti, e arriva encomiabile e vergine nella sua incontrastata purezza fino a noi.