Dove finiscono le storie non raccontate, i finali irrisolti e le probabilità scartate? L'autore romantico non se lo chiede. Esiste in lui ed esisterà nel lettore solo quanto è espresso e ciò rientra nel discorso formativo che ritroviamo nel rapporto cantore- mito- ascoltatore.
Anche in questo la narrativa romantica sembra recuperare le antiche romanze e l'epica medievale, con la differenza che nel Medioevo i poeti bardi e i cantori affidavano il loro estro all'oralità, e viaggiando di corte in corte, apportavano svariate variazioni alla trama principale, consentendo ai poemi cavallereschi di risuonare ben oltre i confini di pertinenza. Lo vediamo con Ariosto e nell'Orlando Furioso, così come in tutte quelle storie imperniate sulla figura di Re Artù.
Nell'Ottocento la parola vergata ha alle sue spalle una matura tradizione. Ciò che viene scritto è frutto del lavoro dell'autore che fa proprio e reinterpreta quanto già letto o ascoltato, lavorando anche di fantasia. In questo lavoro di organizzazione, selezione e costruzione si esplica la responsabilità dello scrittore a cui il compito di riferire contenuti formativi ed educativi. La Natura è l'infinito con una definizione non dall'uomo intelleggibile razionalmente e l'ispirazione dello scrittore o poeta coglie e si fa interprete della realtà che si rende manifesta o comprensibile. Ecco pertanto il valore della narrazione al cospetto della realtà che va quindi a coincidere con la verità. Ciò che non è narrato non esiste, è il vuoto e su questo punto si incentra una delle maggiori differenze tra Romanticismo e Decadentismo in cui lo scrittore non è assoluto e ciò che racconta, è l'aspetto che lui personalmente coglie della realtà. L'oggettività cede il passo al relativismo. La realtà raccontata o lasciata intuire non è la verità, ma quanto vede l'autore e da lui è scelto perché in esso si riflette o a lui serve per riferire determinati contenuti. L'artista non è al centro dell'infinito come traspare dalle tele dei pittori romantici. Qui il soggetto coglie l'inquadratura piena del dipinto. Gli orizzonti e gli sfondi sterminati lo assorbono. Il soggetto rappresenta l'autore che in esso si cala. A differenza di quanto detto, compaiono gli angoli nella pittura fine Ottocento e ancor più si restringono gli ambienti, nel figurativo del Novecento. L'autore, il pittore è un faro che illumina e astrae dal deserto la vita che intende narrare. La vita e la morte vanno a coincidere nel momento in cui la vita è torpore malinconico diluito dallo scorrere delle lancette. La solitudine non è il silenzio ricercato dall'intellettuale romantico. È una forma di disadattamento alla realtà, una malattia dell'anima, sepolta o irrisolta che pregna le grigie esistenze, come ci comunicano le tele di Hopper.