La grotta e' la dimensione del raccoglimento, il guscio che tiene uniti i due mondi: superiore e inferiore.
Nella grotta la percezione dello spazio e' nulla e non ci sono distanze. Tutto e' li', il necessario e l'immaginabile. La grotta e' pertanto l'embrione del Creato e la fucina del creatore. All'interno l'indistinto regna sovrano e va a convergere con la dimensione orizzontale degli elementi collocati sullo stesso piano. Manca pertanto il concetto di giudizio e la giustizia e' insita nelle cose come criterio formante. La grotta e' associata a Maria, alle grandi Dee Madri dell'epoca arcaica, come visualizzazione dell'utero che concepisce ogni cosa osservata dal di dentro. La grotta quindi e' il microcosmo dell'accoglienza dove la vista si muove guidata dall'intuizione e dalla spinta emozionale.
L'abbinamento ancestrale cieco grotta (che ritroviamo ad esempio nel gigante Polifemo) non e' raro nell'immaginario popolare. La grotta e' pertanto la dimora degli equilibri dei quali anticamente la donna da vergine, ossia in preadolescenza, era portatrice e rappresentante. La Vergine anticipa il segno della Bilancia. Nella Vergine il doppio e' presente sul piano organico e ormonale, come suggeisce la doppia etimologia della parola stessa, uomo e donna. Assodato questo, capiamo anche il concetto ascrivibile alla fase successiva. La donna madre, non piu' vergine, abbandona la grotta e si sposta nell'enucleato, popolandolo. E' pertanto la fautrice della rottura di ogni equilibrio e compresenza di buio e luce. Nella luce che rappresenta l'esterno ogni elemento trova una sua collocazione in base a un ordine di successione, e al concetto di giustizia subentra quello di giudice. Se la Nemesi e' la protostoria del teorema di giustizia, il giudice esprime di fatto l'applicazione della giustiia intesa come equilibrio sommo insito nelle cose, e pertanto dimora nella luce.
I grandi Dei delle primitive civilta' patriarcali esprimevano questo passaggio dal buio ancestrale, intrauterino, al cielo e al Cosmo di per se' eletta espressione di un ordine acquisito dalle cose che occupano lo spazio. I figli sono figli del tempo e in quanto tali sconfiggono la diimensione del presente momentaneo, producendo la continuita' generazionale espressa in termini di successione e rappresentata figurativamente dal poeta greco Esiodo agli albori della tragedia nel VII sec.a.C. nel suo poema Teogonia. Crono evira Urano il dio del cielo, la cui sommita' contempla tutto e gli s'impone riassumendo e assolutizzando le singole vicende umane nelle esperienze degli dei. La Nemesi intesa come compensazione e' inscritta nella Natura, ma nel momento in cui si abbandona la dimensione protettiva della grotta e ci si cala nell'esistenza, l'uomo abbraccia le gerarchie dei prinipi e dei concetti e costruisce una scala di valori etici. Nascita e morte trascinano nelle loro orbite dialettiche gli stessi dei che sono per i Greci i modelli eccellenti degli esseri umani nella loro complessiva alternanza che insegna essenzialmente una cosa. Che la vita e' innanzitutto passione e come tale, nel bene e nel male va vissuta.