Il volo è il varco, la via. Lo sconfinamento.
Viviamo il mondo e la creazione come specchio del nostro sentire, della poliedrica sfera di sentimenti che, in quanto esseri umani, nel bene e nel male ci contraddistinguono. Utilizziamo gli altri mondi come chiavi di accesso al nostro regno che, nonostante tutto, persevera nella sua angosciante incomprensibilità. La Natura da sempre affascina. Con la sua selvatica e irrequieta indole tiene aggrappati al proprio ventre infiniti esseri, ciascuno con distinte particolarità che l'uomo ha cercato di indagare o su cui costruire arcobaleni che conducano per gli sterminati luoghi dell'immaginazione. Gli animali e gli uccelli più in particolare, sono l'universo parallelo che scorre dentro di noi e che noi viaggiando sui nostri binari fiancheggiamo e assimiliamo attraverso la lente caleidoscopica dell'inconscio che innalza, subissa e divinizza.
Gli uccelli, in quanto rappresentazioni del volo metafora indiscussa di libertà, contengono aspirazioni, proiezioni di libertà e al tempo stesso evocano il timore di una incompresa individualità che sbriciola le pareti del conosciuto e varca gli orizzonti del finito. il Gabbiano dello scrittore ungherese Sandor Marai si svincola da tutte le costruzioni immaginarie riscontrate in campo letterario, per porci di fronte all'evanescente dimensione del tempo. Siamo anime fluttuanti in vari corpi che demarcano o risponono a domande insolute. Incontri che si ripresentano con lo scopo di chiudere vecchie porte, in realtà spalancano finestre su altri orizzonti, facendoci comprendere che la vita scorre al di fuori del tempo e che, al di là di ogni traguardo raggiunto, si stendono campi che solo con la luce dell'anima riusciamo ad accarezzare.