Basta cercarle e le situazioni, le cose ritornano a noi. Tornano in modo raro e bello, sorprendendoci di nuovo perché ritornare è come se si tornasse per la prima volta. Un'azione che non implica solo un'accurata riflessione, ma una compartecipazione di intenti dell'anima che ci fa catturare noi stessi attraverso una seconda vita che fluisce dall'ascolto di racconti.
Tornare soprattutto in Calabria è un ritornare. Questa terra ha una consapevolezza profonda e meravigliosa, se non unica, di cosa voglia dire riappropriarsi di sé stessi. È una forza primitiva che soggiace all'istinto del muoversi verso un domani che appare folle soprattutto nei giovani. È loro la curiosità che apre al mondo oltre la finestra dei saperi più vicini e autentici, verso un domani in un altrove che spesso delude.
Per ritrovarsi in un posto che appartiene da generazioni occorre andare altrove e un tempo a questa forma di imparare si accostava un'innata certezza. Di appartenere a luoghi che si credeva scomparsi perché troppo distanti dai propri orizzonti. E allora crescevano le memorie che diventavano storie e voci, oltre a volti. In un tempo troppo distante da noi oggi abituati ai social e genuflessi a una televisione che c'imbocca quello che vorremmo sentirci dire.
Per assaporare la Calabria vera bisogna andare a ritroso. A quei volti timidi di nonni e bisnonni, zii di padri sperduti che mai e più di chi cerca lavoro e affermazione lontano da casa, hanno dimenticato la culla natia.
Occorre spostarsi, andare altrove, nei luoghi più dispersi e disparati per riappropriarsi di chi si è. È quanto è capitato a me e a tanti prima e ai quali do voce attraverso quanto racconto nelle mie pagine e attraverso il mio lavoro di corrispondente Rai nel Sud America, e tanto altro ancora. A parlare è Pasquale Guaglianone di Cetraro. Un paese questo come tanti in Calabria sorti sul mare e come tutti splendente di una straordinaria unicità. Pasquale sa cosa voglia dire essere un puntino nelle grandi metropoli e vedere rispuntare e fare capolino tra la sperdutezza che la realtà porge un profumo, un sapore, un raggio di una vaga appartenenza che trionfa sull'estraneità e si fa presenza. Lui come tanti altri in una città come San Paolo in Brasile che conta 23 milioni di abitanti o come Buenos Aires che ne fa 18. Eppure in questi esempi di inverosimile grandezza, l'appartenenza alla Calabria parla chiaro e grida forte di generazione in generazione. Commuove tutto questo se facciamo il paragone con i giovani fieri di aver lasciato i loro paesi per il progredito Nord.
Ritrovarsi nelle parole di Pasquale non è difficile per chi sa entrare con sensibilità nei propri luoghi e ritrovarli da lontano nella loro ineguagliabile bellezza fatta di errori e genialità sommerse, di abbandoni e di inaspettate rinascite. C'è un filo diretto tra la Calabria e l'Argentina che ci fa sentire a casa, è incredibile riconoscerlo, lì oltre l'Oceano. Non concedere la cittadinanza ai giovani argentini che vengono in Italia è di un'assurdità che ci fa regredire all'epoca delle caverne. A loro il merito importante di aprire i nostri occhi su quanto per abitudine e per noncuranza della Calabria non riusciamo a cogliere. Anche questo è il senso dell'opera "A passi lenti tra i borghi di Calabria" di Pasquale Guaglianone, presentato domenica 29 settembre a Longobardi. Un omaggio a questa terra nel bene e nel male da parte di chi ha la testa in tutto il mondo ma il cuore in questa regione.