Separare la pietra Cappa da San Luca d'Aspromonte sarebbe scorretto. Più che il santuario di Polsi, il monolite più grande d'Europa spiega ma non giustifica il substrato ancestrale della Calabria aspromontana, un capitolo a parte rispetto alle realtà di per sé frastagliate e microculturali dell'intera regione.
L'attenzione reverenziale verso le tradizioni più antiche che mostra questo territorio trova riscontro e conferma nella suddetta pietra, quasi questa fosse il comune denominatore che unisce le religioni patriarcali più antiche. La rivelazione divina attraverso il betile, la shekinah del dio ebraico. Nel territorio roccioso e ammantato di foreste troneggia a riportare la luce maculata della luna sulla terra e a ravvivare la corrispondenza pietra teschio. La similitudine della Cappa al teschio è dettata dalle cavità di accesso alla pietra che si presenta all'interno come una grotta che consta di incisioni che riportano alla presenza primitiva dell'uomo.
La pietra Cappa è il luogo del cranio dell'Aspromonte e non a caso ruotano attorno ad essa leggende e storie risalenti alla presenza dei Templari e ad ancor prima, di Gesù e degli Apostoli, in particolare di Pietro.
Il teschio è la pietra lapidaria a cui si rivolgono gli eredi della tradizione. La cavità interna rimanda al simbolo della loggia e del loculo irrorato di luce interiore. L'Aspromonte è il luogo della luce e dei lupi, così come delle ombre. Il nome Luca deriva da Luce e il simbolo dell'evangelista è il vitello e il bove che rimandano al nome Italia "terra dei vitelli" che fu concepito proprio nella Locride.
La p doppia in Cappa suggerisce la necessità della popolazione in un'area da sempre meta di predoni e mistici, di imporsi allo scopo di conservarsi e preservarsi. L'Aspromonte è una terra difficile e insidiosa da percorrere a piedi ma ciò non ha impedito ai fuggiaschi provenienti dall'Asia e dalle sponde del Mediterraneo orientale di trovarvi rifugio. È la terra della coesistenza difficile e impossibile della santità con l'aggressività, delle tradizioni con l'usurpazione, della luce con le ombre che maculano le foreste.
È la terra dei ritorni e della Resurrezione ancora non rivelata. Delle mani spettrali che arrancano e che vorrebbero andare oltre ma che la roccia riduce a parte di sé. Pentedattilo ricorda la forma di una mano rigida e spettrale, carica di mistero, così come carico di mistero appare poco distante il profilo scolpito nella roccia.
La mano e il teschio esprimono la presenza del culto dei morti che si rende viatico verso il futuro oppure, specchio di ritorno al passato per cui il presente non sarebbe che un riflesso illusorio dell'unica realtà possibile che è quella del passato e della tradizione. Questo concetto è espresso molto bene dalla porta nello specchio che apre all'illusione di incamminarsi verso l'ignoto che si ha davanti. In realtà, lo specchio non apre a realtà nuove ma riflette quanto è dietro di sé e dentro di sé. La roccia a forma di mano qui acquista il valore di un'identità ferma che ha impedito al territorio di guardare oltre se stessa. Non esprime direzione, né verso, se non la morte che si mescola alla vita, in attesa di un equilibrio che ripristini la pace.