Nonostante spesso vengano confuse tra loro, le parole "Fato" e "Destino" esprimono concetti diversi anche se accostabili.
Per riuscire a determinare il giusto significato di un termine, conviene risalire alla sua radice etimologica. Fato ha la stessa origine delle parole greche luce e dire e ciò evidenzia il carattere proprio dell'indovino, figura sacra nell'antichità, capace di pronunciarsi antetempore sul futuro di una persona.

I veggenti anticamente erano considerati alla stregua dei sacerdoti. Poiché dotati di sapienza, erano capaci d'interpretare il linguaggio segreto di Dio. Pertanto, in quanto saggi, riuscivano a cavare dal buio informazioni sull'avvenire, armati di quell'intuito che accende la capacità di vedere al di là della materia e quindi di sposare le intenzioni delle divinità.
Se il Fato coincide con la luce pulsante del Principio Primo identificabile nella divinità dispensatrice di vita e incarnazione dell'energia primaria, esso nel momento in cui incontra la materia e si scontra con la mente pensante dell'individuo, si trasforma in oscurità, perché scisso dall'energia generatrice.
Occorre pertanto la mediazione di un sapiente che, armonizzato con l'energia divina, riesca a rendere luce ciò che è oscurità. A differenza del Fato, il Destino dalla radice sanscrita sta da cui deriva il verbo stare esprime il concetto di fissità. C'è all'origine la convinzione che, scaturendo direttamente da Dio, esso sia immutabile.
In realtà, il concetto di Destino è suscettibile a svariate modifiche che seguono di pari passo il cammino di un popolo e il suo concetto di Dio.
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