L'eutanasia non è un argomento facile da trattare, perché obbedisce a un'esigenza, quella umana, di porre fine a un irrimediabile dolore, impedendo alla Provvidenza divina d'intervenire sullo scadere del tempo
L'eutanasia va vista pertanto come una via senza ritorno, una porta di accesso su un'altra dimensione fatta di nulla per gli atei, o al contrario fatta di tutto, per chi è animato da una qualsivoglia fede. Comunque sia da intendersi, l'eutanasia è una rinuncia inequivocabile, una ferita senza alcuna possibilità di rimarginazione, che non può che suscitare ripercussioni su chi resta e sugli equilibri di questo mondo.
Ogni fine imposta a un percorso sprigiona conseguenze che si riflettono sui legami sensibili che tengono compatta la realtà, sul quel reticolato di congiunzioni che fa sì che ogni individualità sia parte di altre singole realtà e andando oltre, sia partecipe di quell'insieme che molto semplicemente definiamo pluralità.
Ogni situazione, scelta o percorso, nasce sotto un impulso di energia che la fa procedere, finché il potenziale di slancio non si esaurisce da sé. Ne va che ogni stimolo contrario si traduce in imput alla violenza che danneggia il diretto interessato e, a più livelli, ogni fattore che adempie all'atto di creazione.
Ciò vale anche nei sentimenti. Bruciare un rapporto di amore per paura di soffrire, di essere quindi incapaci di assistere al suo estinguersi, accumula molta più sofferenza della mera e spontanea estinzione dello stesso. Sofferenza che molto probabilmente non si sarà in grado di smaltire, perché andrà a determinare intoppi e deviazioni pericolose nello scorrimento fluido dell'energia vitale. Ogni cosa obbedisce a processi naturali nel mandalico linguaggio dell'esistenza.