A una certa età non si ha voglia di nulla, se non di famiglia. E anche le feste assumono una luce diversa. È quanto accade nella maturità oltre la quale gli orizzonti si fanno sempre più vicini. Ciò non vuol dire invecchiare, ma cambiare atteggiamento verso la vita ancora lunga da vivere.
Vuol dire non inseguire le occasioni per conoscere, ma intrattenersi nel proprio mondo per riconoscere quanto ci anima da vicino. Guardare in piccolo significa sviluppare uno spirito di attenzione verso le cose che conservano l'essenza, e lasciare andare il resto. Durante la maturità le piccolezze sfumano e si diventa meno pignoli e più attenti a quanto profuma di senso. Maturità vuol dire proprio questo. Spogliare cose e avvenimenti, conservando quanto di vero serbano e ci trasmettono, per continuare a vivere pienamente.
È questo il tempo che ci suggerisce il presepe in cui ogni oggetto comunica qualcosa dalle sue dimensioni piccole e ben calibrate. L'accoglienza è proprio del mondo piccolo e resta in chi profuma di profondità in ogni stagione. L'accoglienza resta. È del bambino che invita i suoi simili a giocare perché scopre quel filo magico che rende affini le persone. È delle mamme che la indossano quale esperienza di vita e poi, è dei nonni che hanno sempre un dolcetto da donare a chi si ricorda di fare loro visita.
L'accoglienza è un sentimento, come lo è il mare che contiene lasciando andare, e quanto noi viviamo nella grotta, lo ritroviamo nelle onde che si gonfiano come palazzi o navi sorte dall'acqua all'improvviso.
Si diventa sciocchi oltre la china, per prepararsi a cedere tutto ma con minore sofferenza e in questo la vita ci viene incontro portandoci a vedere e a riconoscere solo ciò che ci è vicino e non intorno, fino al buio completo.
Il presepe ci ricorda che il prodigio si è compiuto per tutti e ha un tempo per ogni età. Tempo è parola. È il verbo che si diffonde nella sfera del Creato che si sveglia dal sonno profondo e scopre le cose. Tutto si fa nuovo e il giorno e la notte si avvicendano come sempre ma come non mai. È il Natale che toglie il velo alla stanchezza dei giorni, avvolgendo nel suo tepore in cui allegramente precipitato tutti: nonni, adulti e piccini.
Il Bambinello in fasce ci ricorda che anche Lui si è piegato al suo Destino a cui ha dato il nome di Padre. Anticamente si usava avvolgere i neonati in fasce di stoffa che si diceva servissero a far crescere diritta la schiena. Dietro questo principio non solo infondato ma proprio errato, si nascondeva la volontà di preparare i neonati alla vita che le Parche tessono per ciascuno di noi. Una postura corretta e slanciata è sinonimo di fierezza e rettitudine. Le fasce erano il primo Battesimo che ogni bimbo riceveva. Erano il bacio delle Parche a seguito del quale rito avrebbero vegliato e filato solo ricami belli e preziosi orientando la creatura a un lieto avvenire.
A fasciare i piccoli erano madri e nonne. Il bambino veniva compresso tra le fasce che in molti casi causavano malformazioni alla spina dorsale. Era una forma di benedizione la fasciatura e di affidamento alla tutela della triade femminile che nonostante il Cristianesimo continua la sua esistenza indirettamente e velatamente. Anche Gesù è stato fasciato perché è nato come l'Emmanuele che si sarebbe rivelato il Cristo.
Gesù Bambino era come tutti gli altri, eppure in tutto completamente diverso. Aveva in sé la comprensione del Cielo e a questo le fasce lo hanno inclinato.