Ciò che è peccato per l'uomo è consuetudine per gli dei. È quanto emerge dal rapporto tra gli antichi Greci e i loro dei. L'onnipotenza divina, nonostante non abbia alcun presupposto etico, è di monito per l'uomo affinché non esageri con i suoi comportamenti e rimanga nel solco della legge degli equilibri.
"La virtù è nel giusto mezzo" ritenevano i nostri predecessori. Il senno che regola le attività umane è alla base di una corretta armonia. Da qui ne deriva la funzione speculare degli dei in rapporto alla vita del singolo e di tutta la comunità. Una funzione che dà adito alla riflessione ("speculum" va inteso da quest'angolatura) perché dai loro eccessi e difetti l'uomo possa trarre insegnamento.
In tale prospettiva va dunque interpretata la relazione che intercorre tra la tracotanza umana "hybris" e la vendetta divina personificata dalla "Ate". Una vendetta che è più una risposta a ricomporre l'uomo restituendolo all' ordine naturale, di cose, espresso in termini di equilibrio. In tale prospettiva anche la giustizia, la Dike, ha la sua funzione ricompositrice rispetto alla rottura degli equilibri causata dalla presunzione umana.
Quanto sopra espresso risponde al pensiero che Eschilo esprime attraverso le sue tragedie, legando il percorso umano e soggettivo a quello comunitario e sociale. Interessante è il meccanismo di fondo che rintracciamo alla base del processo teoretico filosofico. Una impostazione che determina il metodo speculativo e cognitivo rispondente allo schema "causa effetto". Se agisci con esuberanza, provochi "conseguenze". Da qui il valore pedagogico della punizione che serve a riportare sulla giusta strada l'uomo o la società e a ripristinare quanto interrotto.
I Greci partono da una visione di integrità della società, con la quale deve misurarsi la giustizia. Più che un ideale, questa è un valore e in quanto tale va applicata. Volendo ricondursi alla filosofia di Platone, potremmo dire che il valore è l'immagine speculare dell'ideale che in quanto tale rimane avulso dalla realtà fenomenica, ma serve all'uomo come parametro di riferimento nella sua condotta.
Gli dei dell'Olimpo perdonano tutto agli uomini fuorché la hybris, l'orgoglio e in questo sembra che i Greci si riconducano al tema ebraico del peccato originale che aggancia il discorso del libero arbitrio, deviando così su posizioni dichiaratamente etiche.
Il mondo greco anche durante il periodo della tragedia rimane incentrato su un'impostazione più razionale in confronto al mondo medio orientale con cui la Grecia di Eschilo deve confrontarsi e in modo anche problematico per le influenze culturali che ne minano le basi. Il tragediografo Eschilo avverte la necessità di sottolineare nel suo impegno di autore di testi teatrali quelli che sono i pilastri su cui si erge il valore della giustizia personificata dalla Dike. E in questa operazione egli si concentra sulla definizione del primo elemento che compone la triade "Hybris, Ate, Dike" che è appunto l'orgoglio. Il termine "Hybris" significa "che si colloca al di sopra e con violenza" ed esprime la tracotanza umana. La radice di questa parola si rintraccia nei vocaboli italiani "ebbro, ubriaco", che fanno riferimento a condizioni di pienezza e alterazione. Nel termine "ubriaco" c'è anche l'aspetto di degenerazione verso la violenza contenuto nel termine "hybris". L'uomo posato e giusto è il modello di aspirazione dell'uomo greco. Possiamo su queste basi comprendere quale significato e collocazione avranno assunto Dioniso e le feste in suo onore sui quali si concentrerà il tragediografo Euripide, lasciando emergere l'aspetto irrazionale, in ombra del mondo greco.