Viviamo nell'epoca che ci porta a riconsiderare il coraggio, l'azione che parte dal cuore e che domina i rischi.
Il coraggio è degli eroi, figure eccezionali che spuntano dal pantano dell'arrendevolezza tradotta in mediocrità. Questa è l'epoca dell'attivismo individuale, altro dal progetto comune che nasce e agisce per la collettività. La collettività non è il sociale. La collettività è la gente intesa nell'ottica di una vicinanza comune sul piano più che affettivo, che si condivide. La gente è la forma astratta della collettività alias comunità nel momento in cui si scoprono e incrociano fattori di appartenenza. Si parla spesso oggi in termini di società in cui ognuno è uno qualunque e quindi nessuno. L'abuso del termine "società" porta al nascondimento e all'esclusione di argomenti o porzioni tematiche a cui non tutti devono essere ammessi. La società parte da una visione elaborata del contesto umano. Nella "società" dalla cui radice etimologica deriva la parola "città", tutto è smussato nei suoi tratti dolci, ma acuito nelle inefficienze che toccano e danneggiano l'individuo e il suo io esteso. C'è l'Io e non il Sé nella società in cui l'arrivismo produce occupazione e il margine di azione dell'Io è comunque dirottato o contenuto dall'agire delle istituzioni giuridiche.
Nelle civiltà sciamaniche si parla di comunità e non di società. L'organizzazione sociale era ridotta all'essenziale e forte era il richiamo ai legami di appartenenza. Contrariamente a quanto si dica, lo Sciamano è tutt'altro che un personaggio pacifico. Egli è un lottatore continuo che non vuol dire guerrafondaio o attaccabrighe ma colui che mette al primo posto la salute della sua comunità di cui è padre. Più si avverte il collante comunitario che potremmo definire coscienza identitaria, più è forte l'esigenza di sentirsi rispettati anche attraverso il riflesso del proprio microcosmo sulla comunità di appartenenza.
Non può esistere comunità senza una visione di fratellanza spirituale. Spesso usiamo questo termine in riferimento a realtà di fede e religiose, come ad esempio le parrocchie. Nei piccoli centri si parla ancora di comunità facendo riferimento al piccolo unito e non confuso col grande. Nella comunità è forte il senso di giustizia sulla base dell'armonia tra il singolo e gli altri e ci si sente persone. Nella società questo non sussiste. Il piccolo è un individuo anonimo e fluttuante e ciò che è fatto dal singolo, spesso non trova l'approvazione della moltitudine. Ognuno mira a portare avanti se stesso con autorità e non autorevolezza. La violenza esercitata a più livelli sull'individuo impedisce di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e le vittime sono numeri di persone invisibili crollate per colpa dell'assetto o dell'impronta conferita alla realtà collettiva. Si è moltitudine se si perde di vista il valore e la dignità della persona. È quanto ci suggerisce anche una lettura accurata dei Vangeli. Le folle, le moltitudini vengono citate in quanto in contrapposizione alle piccole comunità di persone. La folla acclama e la folla condanna. È una massa compatta di ciò che è indistinto e si comporta come un fiume in piena. Travolge con la sua irrazionalità che è il suo potere e il suo limite. Di contro c'è la dimensione dell'Uno che è concentrazione e propaggine, detonare del valore della persona composta di anima e spirito. Gesù è contro la moltitudine e il suo viaggio su questa terra è orientato verso il valore edificante della persona. Egli è il corpo che contiene l'Universo, di contro allo sgretolamento che fa collassare gli equilibri del Cielo. La folla è polverizzazione e contro di essa Gesù manderà i suoi discepoli, ciascuno per la propria strada, affinché il singolo prevalga sulla realtà degli anonimi. In questo trova riscontro il carattere eroico della religione giudaico cristiana e della figura del Cristo.