"Per sempre" è desiderio che si tuffa nell'infinito. Nel momento in cui pronunciamo dentro di noi questa frase, già risiediamo nell'Infinito e col desiderio ne protraiamo la presenza. Il desiderio allora esprime la volontà che si realizzi l'effetto di questo protrarsi.
"Per sempre" è la frase che sintetizza la mia persona e le mie esperienze esistenziali inquadrate nella proiezione dell'infinito. Più di tutte questa espressione mi racchiude e rappresenta nella sua semplicità che abbraccia e contiene la totalità del tutto. È l'anelito mio che discende dal cielo. Da questo mi deriva e si personalizza nella mia tensione a sconfiggere la tirannia del tempo.
Ho sempre cercato l'Eterno in me e fuori di me e questa ricerca mi ha portata a stringere un rapporto affettivo forte con l'Ebraismo, pur ritenendomi io cristiana. Nell'Ebraismo l'Eterno è guida e compagno fedele, incontestabile. Nei Vangeli si fa ricerca oltre la dimensione fisica e visiva in cui tende a svanire. Ho sempre desiderato l'Eterno in me e fuori di me, tra le esperienze umane, perché credo nella manifestazione di ciò che ci sovrasta nelle azioni e nelle scelte che ci accompagnano ogni giorno. Sicuramente l'esempio fornito a me dall'educazione ricevuta e dall'amore vero e reciproco, alimentato dai miei genitori all'interno della mia famiglia, ha rafforzato in me l'anelito di eterno che però è andato a scontrarsi con la scarsa durevolezza al di fuori delle mura domestiche. E così, il mio "per sempre" ha visto più volte infrangere le sue ali nel confronto con gli altri nei quali il cambiamento e il tradimento di parola e affettivo correvano per una pista molto più battuta e a grande velocità. Gli episodi da ragazzina da me vissuti mi hanno precipitata nella cangevolezza inspiegabile che poi ha trovato senso e risoluzione nella verità in questi ultimi tempi. Spesso la vita chiarisce fatti e dubbi dopo averci resi più forti, obbedendo ai suoi tempi che sta a noi accorciare con l'esperienza del perdono che io per mia costituzione d'anima sono da sempre abituata a concedere.
Il "Per sempre" è rimasto in me presente come supplica ed è forse la frase più bella che io abbia mai scritto. Essa compare in un passo del mio romanzo in cui la protagonista Ilaria la incide su un biglietto che poi affida all'acqua. È rivolto a Clara, questa presenza angelica che la protegge e sempre le è vicino, come fosse la proiezione astrale della sua persona. Il mistero di chi sia Clara, fantomatica sorella di Ilaria, permane fino alla fine del romanzo che sembra, in linea con la mia visione ciclica dell'esistenza, riprendere l'incipit iniziale.
"Il nostro segreto è solo in noi stessi. A Ilaria, il mio più grande amore. Sua sorella, Clara" è la dedica impressa all'inizio del libro, prima dell'attacco del romanzo. Il "per sempre" allora è il pronunciamento del nostro limite che non riusciamo a cogliere se non nel momento in cui ci approcciamo al nostro riflesso astrale che trova compiutezza attraverso il confronto col finito e apre a noi la finestra sul suo mistero insondabile. Ovunque ci sia forma, c'è finitudine e la finitudine ci invita al silenzio, affinché dentro di noi si spuntino ogni dubbio e dissidio e l'infinito che prima aleggiava, fisicamente trionfi. Il "per sempre" allora diviene l'Om buddista. La realizzazione del compiuto che abbraccia ogni sfera e che come anelito trova espletamento nel mio romanzo "Il canto di Yvion" in cui l'Infinito di Dio come vaghezza, incontra la sua affermazione concreta attraverso il tangibile umano. "Che senso potrebbe avere Dio se non ci fosse l'uomo a sentirlo e ad inglobarlo ?" E così, mentre l'uomo nel confronto con Dio sale e procede verso il cielo, Dio sembra prostrarsi e inchinarsi verso di lui. "Per sempre" in un amore eterno.