La nostra piccolezza a cospetto dell'immensità ci rende grandi. Ci assorbe e ci riporta all'unità col Divino. Dio è immanenza ma anche slancio e questa sua azione condotta su di noi e che io definisco di riassorbenza, la ritroviamo nel verbo "adorare".

L'adorazione, alle soglie dell'Epifania, è proprio ricondursi a Dio, trovarlo o meglio incontrarlo attraverso la compiutezza del Creato. L'Epifania è manifestazione, ossia presenza tangibile di un principio già presente in noi come scintilla antica che ci fa incamminare verso il traguardo di Dio. Ogni manifestazione è una ierofania e teofania, ma spesso la teofania è un'apparizione improvvisa che sconvolge la nostra esistenza. È il raptus di Dio dalla riassorbenza feroce.
Di teofanie è piena la letteratura mitologica a incominciare dalla grande divinità del subbuglio che è Eros e compulsione identificati da noi in Adon-Dioniso: il figlio dello Splendente, il nato due volte poi partorito da Zeus. Adon è la divinità più adorata, il Signore della Notte che governa i tempi rappresentati dalla razionalità umana. Adonai, il Signore ebraico è Colui che è a capo delle azioni umane in questa dimensione logico razionale e a Lui ci si rivolge anche attraverso la grammatica algebrica, perché in Lui è l'incipit della Creazione per come la conosciamo noi. "Adorare" tendere all'oro che è la Luce, contiene anche il suo corrispettivo in ombra che è il nucleo primordiale da cui tutto si è eviscerato. "Adorare" è quindi tendere alla bocca identificata come luogo dell'origine, come dice l'etimologia stessa, che, riconsiderando la psicanalisi freudiana poi junghiana, si identifica nelle labbra della vagina da cui sbuca la nuova vita.