Mia terra amata, che ne sarà di noi fino all'estate prossima? Sei tu, mia consolazione eterna, patria dei luoghi immutati, come lo sono i ricordi cristallizzati nel tempo. Sotto la coltre di apparenti increspature e movimenti che è la vita, alberghiamo noi con il nostro vissuto, misero eppure ebbro di tutto.
Sotto il ghiaccio siamo noi con le nostre storie più antiche, con la sola consapevolezza di esserci, nonostante tutto, perché nulla sarebbe stato poi senza quei momenti. Ci siamo noi nel gelo notturno con la sola fiammella dei nostri sorrisi diretti verso chi era parte del nostro calore.
Ora non siamo niente. Non basteranno i dolci della tradizione a riportare in vita quel calore che noi non sappiamo più vivere. Per paura di morire abbiamo ucciso la vita. Per paura di soffrire abbiamo ucciso l'amore, il gusto di ritrovarci. Sotto il ghiaccio riposano tesori immensi. La nostra umanità e naturalità preservate nel tempo.
Chi siamo noi oggi, sopra il mantello dell'immutato? Cristalli di ghiaccio che diventano niente colpiti dal troppo. Dal troppo caldo, dalla troppa luce. Dal calore mancato che è nella misura di tutte le cose, in quel primigenio equilibrio che conserva la Natura e l'ha preservata. Siamo niente, viviamo sulla crosta delle cose e ritorneremo niente. Senza la gioia del raccontare condiviso, siamo lenti spezzate che riflettono un sole arcigno e traballante.
Si parla e non a vanvera, si racconta di un'umanità santa che viveva nell'ombra della terra e che comunicava compiendo viaggi lunghissimi al di sotto delle cavità degli oceani. Non sono morti, non si sono estinti, conoscono le tenebre e le hanno convertite in sana luce. Questi uomini parlano a noi attraverso i nostri sogni per proporci un ritorno all'antico grembo, a quell'umanità che era e che ora è andata perduta.
Sopra il mantello dell'immutato
Le foglie sono sfoglie di un tempo andato,
fogli scritti da un tempo immutato
sotto pesi di fango che non sporca,
ma ciba.
Ci hanno nutriti, pergamene di uomini.
Hanno nutrito foreste di alberi,
palme si elevano al cielo
come pianure solcate di rivi.
Chiedono e offrono,
parasoli di pianti e sorrisi.
Ringraziano e piegano
le rughe delle caverne
baciate da popoli smarriti.
Siamo qui,
siamo noi
e sul fango ci eleviamo,
dal fango parliamo
alla putredine di questi giorni
che non offre niente
e lascia marcire le foglie.
Ippolita Sicoli