Siamo suolo di attracco, un molo che affaccia sull'Africa. La Vittoria dell'Italia sull'Inghilterra ci pone di fronte all'evidenza inequivocabile di un patriottismo ornai ridottosi allo sport e al calcio, lo sport più seguito al mondo.
L'intonazione dell'Inno Nazionale viene di fatto relegata ai Mondiali e agli Europei calcistici, unificando in nome del pallone un'Italia frastagliata sul piano delle sue ipocrisie. La fierezza di appartenenza quest'anno ha assunto connotati tutti particolari accomunati dal desiderio di riscatto dai lunghi giorni di chiusure e privazioni. C'entra lo sport ma soprattutto la voglia di riprendersi e riprendere la propria vita messa al muro dai continui richiami dei virologi alle restrizioni.
"Non è ancora finita!" Urlano snocciolando per nome tutte le varianti a cui l'Italia non vuole più genuflettersi, si inizia, meglio tardi che mai, a mostrare un secco dissenso rivolto all'egemonia sanitaria che vincola attraverso i dictat europei.
Siamo diventati belve dall'anno scorso su un suolo, quello della nostra Nazione, che ci scivola di mano per le continue pressioni esercitate da un finto e solo affaristico progressismo. Ci scivola di mano e noi rispondiamo col controllo del pallone che rotola tra i disastri annunciati di un'economia e di un sistema sociale già fragili in partenza. Si pensa alla recrudescenza dei contagi e non invece alle ripercussioni di lunghi mesi di costrizione sulla nostra psiche. L'Italia, Terra di nessuno e senza figli certi e veri. L'Italia, terra di miseria umana e di pavoneggiamenti. Di Ong e di negrieri. Di un divertimento sfrenato e spavaldo di chi vuol dimostrare che basta questo per riassumere il controllo della propria vita. Sembrava di essere all'ultimo dell'anno la notte della vittoria. Fuochi, botti e balli in piazza. Ma non era il 31 o la notte di Natale e basta una ricorrenza profana a riesumare il sapore delle tradizioni perdute. L'individualismo è emerso con il protagonismo soggettivo che in alcuni casi ha fatto degenerare l'entusiasmo della festa. "Fiesta, Fiesta!" Cantava la Carrà scomparsa pochi giorni orsono. La festa di questi tempi è uscire allo scoperto e a viso aperto, spalleggiati da un mondo represso che con l'unione di tutti si contrappone al delirio delle restrizioni. Siamo stati compatti come squadra, ma non lo siamo come nazione, divisi anche sul fronte dei vaccini. Come cani sciolti abbiamo fatto branco, dimostrando il rovescio della medaglia, ossia un'Italia nella morsa dei suoi aguzzini ai quali non sa contrapporsi seriamente.
Un uomo di colore ha sconfitto l'Inghilterra. Un calciatore franco tiratore che ha fatto fallire il sogno di una Nazione. È il mondo dei titoli e degli striscioni, di un'identità di popolo che non si salva neanche nello sport. Le bandiere: ornamento iconografico dello sportivo, del tifoso che si accorge di essere di una nazione solo con i campionati ed è capace di tirare sassi a chi parla di porti chiusi. È il ritratto del cittadino europeo, dell'Italiano nello specifico.
È l'Italia ma è anche l'Europa. Una realtà che non esiste più, mentre la rabbia si fa strada sullo stesso suolo dove tra gli avversari è dilagata una gioia commossa.