Di tutte le esperienze, la morte è la sola non sperimentabile, perché non ha confronti.

E' unica e ineluttabile. Essa è la soglia del non ritorno, il cambiamento effettivo, la svolta. La morte, in quanto tale, serve a colui che la vive e ancor più a chi vi assiste, per comprendere sfumature e dettagli che raccolgono la pienezza della vita. La morte lima, smussa e rende migliori, in quanto rompe ogni schema precostituito. Di rimbalzo, ci si trova a risolvere i nodi dell'anima rimasti da tempo insoluti. E' il sorriso che la vita ci dona prima che l'altro svolti l'angolo per chissà dove.
Ci sono conflitti che esprimono un groviglio di sentimenti che nessuno specchio riesce a riflettere con limpidezza e traducono disagi emotivi che si schiudono senza fretta nel tempo e cristallizzano nelle anime. La percezione del dolore assume contorni biechi che impediscono un dialogo con se stessi e l'apertura verso gli altri. Arrampicarsi lungo i tortuosi tronchi dei sentimenti non è impresa facile anche per chi armeggia con padronanza gli strumenti della narrazione. A riguardo, Catherine Dunne merita sicuramente un posto di rilievo nel panorama letterario internazionale. Di Dublino, attraverso la sua penna traspaiono la liricità e la drammaticità che la condizione di una umanità vissuta nella sua pienezza comportano.

Nel romanzo Quel che ora sappiamo scompare la fredda logica del torto e della ragione, e si spianano gli orizzonti del confronto. Ogni personaggio a ruota si interroga sull'accaduto, per rinnovarsi attraverso il passato e creare una nuova prospettiva per il futuro. Pensiamo che i colori dipingano emozioni. In realtà i colori sono già emozioni, e dipingono noi.
Al centro della narrazione c'é il dolore per la morte di Daniel. Costui, il figlio inaspettato, è un ragazzo di una sensibilità stupefacente che rivela già da bambino una marcata inclinazione per il disegno. Ama la pesca e il soliloquio col volo deli uccelli e cresce incompreso dall'asettico univrrso adolescenziale. Vittima di recidivi casi di bullismo, vivrà la morte come esperienza di abbandono totale. Il romanzo va ben oltre il linguaggio incomprensible di chi soffre l'isolamento e l'angosciante piaga del bullismo. La tragedia del suicidio di Daniel riordina le dinamiche familiari, divenendo espediente di salvezza per i propri cari travolti dall'inaccettabile destino. La morte allora è il pretesto per riavvicinare cuori disgiunti e l'occasione per ripartire da lì dove il decesso non è vissuto come sconfitta, bensi espressione di una nuova condizione che affaccia sul domani e libera chi resta da ogni rimpianto o colpa. E allora fiorisce tra le dita del deserto la morte come un dono.