La nostra è l'epoca dei desideri rapiti, delle pulsioni nascoste e delle presenze mancanti.
È un’epoca in cui il tempo compone note discordanti nell'armonia intrinseca alle leggi naturali. Il nostro tempo non è nostro nel momento in cui realizziamo che siamo tutti composti di attimi disgregati tra loro che mirano a polverizzare il concetto primitivo di Essere come sostanza. Se un tempo la definizione di primario coincideva con quella di primitivo, oggigiorno è primario, ossia di incommensurabile importanza, ciò che ci lega al discorso di benessere: l'accumulo di beni materiali da cui scaturisce il sentimento ostile di rivalsa sugli altri, che chiamiamo successo. Tutto questo ruba il nostro tempo, lo assorbe deformando l'ordine delle cose e il concetto stesso di vita che viene cosi ad essere defraudato di quello più completo di esistenza. La paura della morte rientra tra le oscenità perché contromano rispetto alle corsie d'obbligo che puntano alla realizzazione di quella rivalsa personale, obiettivo principe della catena di momenti che ormai, svuotati di ogni sostanza colmante, si susseguono fino alla fine dei giorni. Il ricordo non ha senso, perché senso non ha il presente inteso come un attimo in fuga.
Ciò ridisegna la lettura del mondo che si amplifica verso orizzonti vacui in cui il racconto di un vissuto non trova alcuna collocazione. Lo scontro avviene nell'arte, in quel l'universo composito e infinito in cui l'artefice di un mondo immaginario enuncia e denuncia il proprio disadattamento rispetto a una realtà che consta di una sfigurata nozione di spazio e tempo. In quest'ottica di modernità un monito a cambiare necessariamente rotta ci giunge dai padri romanzieri del passato, profeti di una realtà futura in cui l'uomo avrebbe vissuto fuori dal suo tempo.
Tra questi merita riflessioni profonde J. Joyce che nel racconto conclusivo della raccolta Gente di Dublino evidenzia l'importanza del racconto interiore nutrito di un sentimento profondo che traspare dal ricordo capace di dare senso al presente. La tradizione irlandese legata alla naturalistica cultura celtica qui trova respiro.
Il senso del ricordo che si fa racconto e ritorna ad alimentare il presente che va vissuto nella sua interiorità, respinge ciò che è insulsa apparenza sintomatica di una società in via di trasmigrazione verso un assetto borghese antesignano dell'attuale contemporaneità. I morti di Joyce evidenziano il ruolo del l'intellettuale consapevole della propria forza interiore che salvaguarda e protegge da ogni forma di alienazione, inclusi i precetti moralistici che provengono dai dettami di una religione restrittiva e costrittiva al centro del romanzo Il pranzo di Babette della danese Karen Blixen, dal quale è stata tratta una convincente versione cinematografica.
Il cibo nelle sue continue ridefinizioni che hanno contribuito a tracciare nei secoli il panorama culturale di un popolo, recupera il suo primitivo attributo di saper scaldare gli animi e creare vicinanza laddove l’austerita’ di una cultura bigotta ancorata ai precetti puritani, ha creato barriere . Babette rompe quest’incantesimo con la sua presenza che determina una svolta, colmando i vuoti della diffidenza, riportando il sorriso e la gioia di vivere in una società che ha bisogno di quella continuità battagliera per trionfare su se stessa e avallare i principi della libertà.