La donna, il Sacro e l'identità velata degli spazi raccolti
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La donna, il Sacro e l'identità velata degli spazi raccolti

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Woman in a garden, John Leslie Breck (American, 1860–1899)
Woman in a garden, John Leslie Breck (American, 1860–1899)

 

Lasciare intravedere obbedisce a un'esigenza del pudore. Abbiamo visto in un precedente articolo come la parola pudore abbia l'orgine etimologica di "bambino" in greco antico. Il pudore lo leghiamo spesso al sentimento della vergogna, ma in realtà significa anche altro.

È tenere per sé un mondo fatto di sogni e segreti che rappresentano la vita vera del soggetto, come accade ai bambini che vivono seriamente e profondamente questo aspetto del loro essere. Il pudore è il giardino segreto fatto di inviti reconditi mai apertamente porti. È fatto di intuizioni sul piano del proprio sentire. È avvertire, un sentire che va oltre la fiducia che si pone troppe domande. È intuirsi simili.

La veletta, le trame della trasparenza obbediscono allo stesso meccanismo sopra illustrato. Nascondono ma ai propri simili lanciano indizi che essi colgono. È l'inferriata oltre cui si cela una meravigliosa villa immersa in un meraviglioso giardino che richiama ad avvicinarsi chi ne avverta il profumo.

La donna nell'Ottocento era concepita in questo modo: un meraviglioso giardino che a tutti è dato scorgere ma il cui lato nascosto dalla villa e interno, anche se meno curato e selvaggio, racchiude il cuore intimo del giardino che solo pochi saprebbero riconoscere e apprezzare. Velare è più che nascondere. È avvicinare chi è ammesso per propria indole a carpirne i segreti. Le inferriate eleganti e massicce spaventano e lasciano intendere a chi passasse da lì il valore di quanto è custodito all'interno. Le ritroviamo a separare in un istituto sacro quanto è visibile e occupabile dalla parte privata dello stesso stabile. La riservatezza, la non ammissione alla massa sembrano confliggere con i precetti democratici della Chiesa originaria, ma in realtà così non è. La fede va educata e l'autoesclusione va accettata. Occorre essere degni di fare parte della famiglia di Dio, ma questo purtroppo non è da tutti.

Non c'è fede che non si poggi sul mistero, non c'è amore che non rispetti i segreti reciproci. La veletta era protezione e senso di rispetto che si traduceva in dignità in colei che la indossasse. Parimenti, ma con le debite differenze culturali di genere tra uomo e donna che tengono conto della struttura biologica diversa di entrambi, l'uomo autorevole anziché velare gli occhi e il viso, tendeva nell'Ottocento a farsi crescere e curare con meticolosa attenzione la barbetta con la cosiddetta mosca e i baffetti. In ciò ritroviamo non solo l'applicazione di un gusto estetico ma anche la necessità di mostrare caparbietà e saggezza, presupposti di alta fedeltà non solo coniugale ma soprattutto sociale. Le personalità politiche, gli aristocratici, dottori e scienziati curavano l'aspetto facciale velando o comunque attraendo l'attenzione degli altri sulle labbra depositarie di affidabilità e verità. Velare, come abbiamo già visto, significa richiamare e mettere al centro quella parte del proprio aspetto in ombra, mantenendo il dovuto distacco dagli altri e, come ben sappiamo, nell'Ottocento la troppa confidenza era bandita assolutamente e ciò valeva anche per i membri dello stesso nucleo familiare. Dare confidenza significava escludere da se stessi il carattere di mistero che si sapeva essere un collante magico tra i rapporti innanzitutto coniugali. L'uomo reputato serio che sposava la donna, non sapeva nulla dell'universo femminile prima e ancor di più dopo aver contratto il matrimonio. Essere ammessi all'intimità di una donna non significava certo conoscere tutti i suoi sogni e i suoi segreti invece colti e ben rappresentati da artisti e musicisti dall'intuizione e dalla sensibilità inclini alla sfera femminile.

Spesso le donne nobili o ricche avevano nel giardino di casa un angolo protetto dagli sguardi di tutti, in cui la loro intimità si ritrovava a proprio agio. Lo stesso dicasi per monaci e suore, ciascuno attratto da un particolare punto dell'oasi religiosa, in cui si sentivano in maggiore dialogo con Dio.

Accostare i comportamenti della donna ottocentesca a quelli di prelati e religiosi non significa commettere un'eresia. La donna romantica era considerata come una creatura velata e sacra e non a caso sono tante le storie che la rappresentano anche da defunta come una presenza stabile della casa. La donna è il focolare e la nicchia più raccolta della casa di cui rappresenta la fiamma eterna. Se il giardino retrostante rappresenta la parte più introversa della padrona di casa, degli edifici sacri imponenti l'anima è il soccorpo dove ritroviamo la cripta che conserva le reliquie del santo o la sua salma. L'interno equivale al di sotto e in entrambi gli ambiti l'elemento che li rappresenta è il fuoco.

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Ippolita Sicoli
Author: Ippolita SicoliWebsite: http://lafinestrasullospirito.it
Responsabile del Supplemento di Cultura "La finestra sullo Spirito" del quotidiano online "ilCentroTirreno.it"
Docente della Federiciana Università Popolare, Specializzata in Discipline Esoteriche, Antropologia, Eziologia e Mitologia, ha partecipato in qualità di relatrice a convegni e conferenze. Ha pubblicato le seguenti opere: “Il canto di Yvion - Viaggio oltre il silenzio” prima edizione Wip Edizioni 2003, seconda edizione Ma.Per. Editrice 2014. Il romanzo “Storia di Ilaria e della sua stella” Edizioni Akroamatikos 2008. La raccolta di racconti per ragazzi “Storie di pecore e maghi” Ed. Albatros 2010. Il romanzo “Il solco nella pietra” Editore Mannarino 2012. Il saggio antropologico “Nel ventre della luce” Carratelli Editore 2014.

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