Dal sublime alla sublimazione nel silenzio. Il Cristo Velato di Sanmartino
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Dal sublime alla sublimazione nel silenzio. Il Cristo Velato di Sanmartino

Invito all'Arte
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Giuseppe Sanmartino, Cristo velato 1753. Cappella Sansevero, Napoli (particolare)
Giuseppe Sanmartino, Cristo velato 1753. Cappella Sansevero, Napoli (particolare)

 

Siamo tutti figli di una preesistente decomposizione e accettare questo principio significa ammettere l'esistenza di un ciclo infinito nell'ingranaggio del quale è caduta ogni forma vivente.

La natura è floridezza stoica che con leggi proprie e dinamiche riesce a far fronte a questa grigia premessa. Nulla di forzato accade in essa e tutto obbedisce a meccanismi interni che piegano la chioma alle folte piante e d'un tratto le rinvigoriscono sotto la guida di una musica segreta.

Siamo tutti morte e rinascita di un sepolto essere a cui non c'è oltraggio o ribellione che non sia l'adeguamento al continuo sistema di richiamo alla vita.

Cosa può l'uomo contrapporre a questo processo di determinazione che parte dall'interno, che non sia la potenza salvifica dell'arte? Come potrebbe agire la forza pulsante dell'arte se non dietro la luce che salva dall'ombra dell'oblio quanto decade? Anche una foglia morta dinanzi all'artista diventa emblema di questo ciclo continuo che ci rende parte di esso, affinché ogni forma e la più innocua vengano recuperate dalla morte attraverso l'effigie di una simbolica eternizzazione. Ecco il riscatto dell'uomo attraverso non solo il sublime ma la sublimazione della forma di dolore e di agonia di introduzione al passaggio eterno.

Qui è la carica simbolica ineccepibile dell'estetica romantica che assurge a vette altissime, proprie di chi scavalca i cancelli della morte rendendo eterna l'opera non tramite una ridondanza oggettiva, ma riempiendo di luce la solitudine che esprime.

Che cos'è la vera morte se non l'essere abbandonati dalla memoria di chi abbiamo amato e, per i grandi invece, dalla memoria collettiva? Cos'è la morte se non il mistero di una profonda solitudine che tuffa gli occhi di chi vi assiste nel proprio baratro? La solitudine è l'angoscia che si prova nel dover saltare al passaggio della decomposizione e al tempo stesso nel raccogliere lo sguardo miserabondo di chi senza comprendere vi assiste. La solitudine degrada l'uomo a meno che non sia cercata, e allora diventa tramite di vita per l'asceta o il poeta.

La sublimazione di chi è solo è la bellezza che porta l'osservatore a compenetrarsi nella natura e ad associare la forma scolpita alle dolci catene di monti e colline. La staticità della terra è promessa di eterna bellezza sotto la cui ombra trova ristoro il sommo artista. È quanto ci porge la scultura dedicata da Canova a Paolina Bonaparte. Questa suggerisce l'ampiezza dell'alba che nella sua suggestione rapisce l'uomo portandolo a ricrearsi lontano dal pensiero della morte. Ogni alba è condizione di eternità che sta all'uomo conservare in sé come impronta anche nel tramonto. Non sono forse l'alba e il tramonto nelle relative opposizioni la stessa cosa? Ogni alba è un tramonto e resta la bellezza come promessa di infinito a riscattare l'uomo dalla transitorietà dell'esistenza.

Il mistero della decomposizione diviene arte nel momento in cui raccoglie e trasla nell'opera il racconto di trasmutazione operato dall'alchimista. La solitudine qui è necessaria per proteggere il dipartito e quanto in lui si compie dagli sguardi altrui. È in questa prospettiva di passaggio che va colta l'opera del Cristo Velato di San Martino in pieno splendore illuministico. I dettagli anatomici e scolpiti con esattezza rimandano alle scuole accademiche improntate sulla classicità e sulle definizioni perfette delle forme ma sopra, il velo reso dal marmo lavorato finemente e come fosse fluido rimanda alla conoscenza basilare degli elementi, possibile solo tramite l'accesso alla dimensione ermetico sapienziale. La solitudine del Cristo morto è pace, stasi che precede il passaggio. Si rende immortale sublimandosi nel non visto che accadrà da lì a poco e che sta all'osservatore prevedere e immaginare.

Nessun'opera neanche del Canova a lui contemporaneo rende bene il riscatto dalla morte nella pace che lo attornia e che parte dal soggetto stesso. Nessuno scultore ha mai aperto le porte all'oltre mantenendo fede al senso di mistero che protegge e decanta.

Tante sono le storie che avvolgono l'opera di Sammartino conservata nella cappella Sansevero a Napoli, città dove il macabro incontra la luce. Si potrebbe restare lì in silenzio per ore e ore sfuggendo al tempo dinanzi a quest'opera che ci trascina dentro il suo mistero impossibile da raccontare perché indecifrabile. Ecco, il sublime qui non è conduzione nell'oltre ma nella sospensione di ogni singolo respiro che ferma il battito del tempo scandito da ogni umano cuore.

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Ippolita Sicoli
Author: Ippolita SicoliWebsite: http://lafinestrasullospirito.it
Responsabile del Supplemento di Cultura "La finestra sullo Spirito" del quotidiano online "ilCentroTirreno.it"
Docente della Federiciana Università Popolare, Specializzata in Discipline Esoteriche, Antropologia, Eziologia e Mitologia, ha partecipato in qualità di relatrice a convegni e conferenze. Ha pubblicato le seguenti opere: “Il canto di Yvion - Viaggio oltre il silenzio” prima edizione Wip Edizioni 2003, seconda edizione Ma.Per. Editrice 2014. Il romanzo “Storia di Ilaria e della sua stella” Edizioni Akroamatikos 2008. La raccolta di racconti per ragazzi “Storie di pecore e maghi” Ed. Albatros 2010. Il romanzo “Il solco nella pietra” Editore Mannarino 2012. Il saggio antropologico “Nel ventre della luce” Carratelli Editore 2014.

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