Il pudore è aderenza alla natura. Gli esserini mitologici e fiabici come fate ed elfi sono timidi e si rivelano solo a chi scelgono perché in sintonia animica con loro. Discrezione e ritrosia sono le caratteristiche degli esseri magici che decidono a chi rivelarsi. La rivelazione è lo stato di esternazione del pudore ed espressione della più alta forma di amore.
Più l'uomo si allontana dalla magia, più si perde il pudore che ci pone in contatto con l'invisibile. L'essere magico pudico è il fautore della rivelazione. Non può esserci rivelazione se non tramite un contatto partecipato con l'invisibile.
Siamo soliti credere che il pudore contraddistingua solo la dimensione umana. Se risaliamo alla radice etimologica che è la stessa di "bambino" in greco, comprendiamo che il pudore va di pari passo con la semplicità e l'umiltà che sono propri del regno animale. Ormai la scienza ha avallato che gli animali sono provvisti di una loro anima e che come le persone, ogni singolo animale all'interno della sua specie è un individuo con caratteristiche proprie. Esiste l'animale più socievole, l'animale più ritroso, l'animale più timido. Anche tra quelli domestici ognuno è a sé stante pur rientrando nella familiarità di caratteristiche proprie della specie. Più l'animale è selvatico, più il livello del pudore sale. Ciò anche per quanto riguarda l'attività sessuale. Sono rari gli animali selvatici che si concedono alla vista umana durante l'accoppiamento. Quanto noi abbiamo smarrito, loro perseguono a protrarre, protraendo così il loro carattere innato. Il pudore allora si fa conservazione dell'impronta naturale. Per noi umani è il sogno.
Il sogno rivela l'invisibile e agisce in controtendenza rispetto allo scorrere del tempo. Quando si è ragazzi il sogno ci lega alla nostra verginale intimità, rivolgendoci al letto delle radici. Superata la soglia della maturità si porta a sognare il non vissuto e a immaginare una vita parallela che ricostruisce quanto è venuto a mancare. Il sogno allora diventa immaginazione che va oltre la barriera del tempo, rendendoci demiurghi della privata fantasia.
Il sogno nell'Ottocento era rivelazione del pudore nel momento in cui veniva riportato in forma narrativa. Come Coleridge attraverso "La ballata del vecchio marinaio" ci evidenzia, il sogno si muove sul doppio filo di una vita intima e privata e di un'altra invece collettiva che risale al patrimonio identitario della tradizione di appartenenza. Distinguerli è compito dell'esegeta letterato. È ovvio che il privato sorge sull'impostazione archetipica che caratterizza quella data cultura.
Il ritmo della ballata ottocentesca già apre a una dimensione che vanifica la percezione del tempo riportandoci a una realtà arcaica poi fatta fluire attraverso le varie epoche. Il ritmo imprime l'immaginario sul respiro del pudore, rendendo dinamico il fluire in avanti e il rifluire all'indietro come fa il mare che ha un suo respiro con cui accende i sensi.
L'inafferrabile che è un'altra dominante della cultura romantica risiede nell'atteggiamento dell'amante al quale sfugge la propria amata in preda al senso di pudore. Si amava chi sfugge, oggi chi fugge. Vediamo quanto il carattere di un'epoca venga dalla modernità travisato e di conseguenza alterato. La donna che sfugge è la lepre che sbuca dalla tana in primavera, annunciando che la stagione nuova è arrivata, e da lì subito s'inoltra nel folto della foresta. Il pudore è della selvaggina cacciata che si confonde con la dea stessa della caccia, Diana, che ha un ruolo capitale nella cultura romantica. Diana si palesa attraverso gli animali selvatici ricordando quanto la verità intrinseca alla forma abbia sempre la partita vinta sulle maniere affettate e imposte da una cultura che è distante da quella dell'autenticità. È della donna ottocentesca ricercare il giusto accordo tra la propria indole indomita e per natura gentile, e quanto le chiede il comparto di sovrastrutture che la obbliga a piegarsi.