La sensualità è anche tenacia, costanza. Si tradisce nel momento in cui è vissuta come maschera o gioco. È nudo ciò che aderisce a noi stessi e la coerenza richiede coraggio, ossia muoversi e agire partendo dall'interno.
Se si posasse lo sguardo su ciò che di piccolo e particolare si scorge tra i batuffoli di erba, se andassimo seguendo le trecce di raggi nei nascondigli remoti che sfuggono al sole, allora rimarremmo sorpresi da un mondo celato, nascosto alla vista più ammaliante e che pure sa stupirci come null'altro sarebbe capace. Lo stupore e il mondo del pudore vanno di comune accordo, suonano la stessa musica. Lo stupore e il pudore ci riportano ai lidi incantati della dimensione rurale, a quella primitività che ha costruito un mondo dolce e bello.
La vera bellezza è costruzione. È la voce che si eleva dal coro perché sogna tra le stelle, non per competere, bensì per obbedire alla propria natura che segue richiami di luce e ad essi si appiglia per salire verso l'alto.
Occorre essere piccoli per osservare la nudità del cielo che infiamma in tutta la sua grandezza. È ciò che il gigante non vede e non coglie. Occorre essere parte del cielo per osservare ciò che di piccolo dimora tra gli esili fili d'erba e tesse la bellezza nel mondo. La dolcezza si volge verso il piccolo e traccia sul nostro corpo un arco di disponibilità e di intesa.
Sono belle le dame che flettono il capo verso il loro pargolo che dorme tra le loro braccia o guarda meravigliato sorridendo al mondo. Sono madonne come la Madre di tutti che si fa alba e tramonto per tutti noi, seguendo la china del cielo e l'arco che il sole v'imprime. Nulla hanno in comune con la sciatteria o trasandatezza della persona che non è più guidata da alcuna armonia.
Le donne delle epoche passate ci fanno assaporare attraverso la dignità del loro essere un modo di concepire se stesse e la vita nel massimo della dignità. Non occorre spingersi troppo all'indietro e scovare tra i bauli dell'antichità trapassata. L'Ottocento è il secolo degli ultimi trilli di primavera, al di là dei quali c'è stridore di morte. È il tempo dei ritratti al sole e ai giochi della luna. Delle madonne vergini nella Natura. Del profano che si fa sacro perché avvolto dalla sacralità della vita. Sono tante le dame col viso chino e dai tratti sfumati. Tante le figure di donna ritratte che si chinano a baciare o a cogliere un fiore. La grazia è armonia con la Natura come il pittore Previati ci ricorda, proponendoci agli ultimi bagliori del sole la donna prima della decadenza del nuovo tempo. Il mistero è bellezza nel momento in cui asserve la spontaneità della Natura piccola, quella frugalità fatta a pezzi dal mondo di niente che consuma e lascia relitti. È qui che Segantini ci parla proponendoci la donna madre che è niente se svincolata dalla culla della Natura. Non c'è spreco in un gesto che regge la terra e il cielo. Non ci sono spreco né arguzia, malizia o sentimenti a castello nella semplicità che tocca il cuore e ridonda negli abissi. Così la bellezza. Non è mai svenevole ma tiene alta la fronte della sua dignità che non è pomposa compostezza come suggerisce Boldini, ma conservazione della limpida autenticità.
È vario il patrimonio di figure femminili che si affaccia con L'Ottocento. Ma quello a cui guardiamo con vera concentrazione perché suscita in noi beatitudine è quanto infondono i Preraffaelliti e alcuni italiani che vedono nella donna la sua immagine venerea e la trasferiscono tra i toni caldi e sfuggenti di una pittura esteticamente matura.