Il maestro e il mastro. La fiammella del genio espressa nell'immaginario collettivo dell'Ottocento
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Il maestro e il mastro. La fiammella del genio espressa nell'immaginario collettivo dell'Ottocento

Invito all'Arte
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Pinocchio, illustrazione
Pinocchio, illustrazione

 

La grazia è l'incarnazione del cielo, è la carne che ospita il cielo. È un prodigio che ancora seppur raramente s'invera in chi incontriamo e che ancora riesce a far vibrare in risposta le corde della nostra anima.

Tramite la grazia, cogliere significa uniformarsi seppur per brevi istanti a quanto provoca in noi gentile meraviglia, alleggerendo il nostro cammino. Che esso sia un'opera meravigliosa o una persona, poco importa. Importa invece che accada. E quando succede, si palesa l'epifania del cielo che si offre a tutti tramite quell'incontro di ignara appartenenza propria di chi riceve la grazia a seguito dell'umiltà che le è propria.

L'appariscenza, la volgarità, il volersi imporre all'attenzione degli altri ( senza oltretutto operare il dovuto discernimento) sono la negazione della grazia. Un tempo la grazia era l'attributo che rendeva grande un'opera d'arte. Era la capacità artigiana del maestro scultore di rendere la comunione tra la natura scolpita della terra e la leggerezza trasparente del cielo. Comunione e non fusione, perché in qualsiasi opera d'arte degna di questo nome le due parti in causa devono rimanere distinte e riconoscibili. La manualità non è puramente tecnica ma ascolto modellato del proprio sentire che guida e trattiene gli impulsi fuorvianti.

L'artista riproduce nel soggetto proposto il proprio cielo che sull'altro si adagia rendendo possibile l'ascondimento che è parte della rivelazione. Il maestro nasce come guida a trattenere, prima che a eseguire. A trattenere gli impulsi dell'inesperienza e la foga. Ad avere cura del tempo che si ha la necessità di far rallentare nell'esecuzione, rendendolo sostegno e non nemico. L'allievo imparava questo innanzitutto, il che significa cura in tutte le cose e per prima nell'opera in esecuzione. Il maestro gettava il seme che egli stesso con cura allevava in seno al discepolo.

Non ci ha fatti forse Gesù a immagine propria? Egli ha modellato la pietra grezza dei discepoli senza renderli conformi ai propri fini e principi, semplicemente liberandoli dalle prigioni e catene che loro stessi avevano costruito. Credo che sia questa l'immagine più bella del Cristo che le Scritture ci abbiano lasciato.

La verità è liberare innanzitutto e ritornano a riguardo alla mente le parole del grande Michelangelo davanti al blocco di marmo. "Ho visto un angelo al suo interno e ho capito che dovevo liberarlo."

Il termine "mastro" in uso fino ai primi del Novecento è la contrazione di "maestro". Ho già menzionato in un precedente articolo l'importanza che aveva il maestro in una realtà sociale che contava un tasso molto elevato di analfabetismo. Il maestro era responsabile di tutto e della formazione degli individui ancor più dei genitori e delle famiglie che all'epoca contavano più membri e includevano anche i nonni. Il maestro allora ancor più di oggi, sapeva leggere negli scolari e cogliervi quel barlume di definizione che si sarebbe concretizzato nel tempo.

Il maestro era una figura profetica e per questo sacra. Più di un'istituzione, era il simbolo e il padre della società che lui rappresentava e che in tutto contribuiva a forgiare. Il mastro a modo suo lo era pure in quanto con la propria arte manuale riusciva a interpretare lo spirito del proprio tempo. Ad assecondarlo e a deviarne il corso misuratamente, lasciando emergere seppur soffocamento il proprio genio creativo. Il mastro dell'Ottocento era una figura pacata. Lui e la bottega rappresentavano un mondo che andava protetto nel mondo, in quanto dal piccolo esalava la preziosa luce che offriva e abbracciava il mondo circostante e comunitario. In una concezione tipicamente ottocentesca e romantica secondo cui dal piccolo si diparte la luce della verità, quella scintilla che si mantiene viva in eterno e che passa di individuo in individuo e che ritroviamo espressa nella fiaccola dei giochi olimpici, così come nella mano della statua della Libertà, e non ultimo ai piedi dell'Altare della Patria.

Tutto parte dal piccolo e l'umiltà era un tratto culturale e connotativo dell'Ottocento che ha mantenuto vivo il legame col Romanticismo. Il piccolo che sposa il grande attraverso il concepimento e la realizzazione di un'opera è quanto ci porta a considerare il lavoro di mastro Geppetto e la sua opera Pinocchio che gli sfugge di mano perché manca quell'accordo tra concepimento e realizzazione. È quanto accade in una società dove i sensibili guardano con preoccupazione ai bisogni della nuova era industriale e alle catene di montaggio operaie in fabbrica a designare quel tassello mancante di continuità tra l'umiltà del genio inespresso e la realizzazione finale. Collodi aveva ben chiaro dove stessimo andando. La sua profondità aveva previsto ed espresso attraverso il simpatico e indisciplinato Pinocchio i rischi e i pericoli del nuovo mondo. Ugualmente e ancor più forse, geniale si è mostrato Steinberg che ha colto in Pinocchio l'elemento grave di discordanza e lo ha adattato alla società robotica attuale nel film "Intelligenza Artificiale".

Nel mondo degli equilibri archetipici a cui si rivolge L'Ottocento il piccolo conserva e ospita dentro di sé la luce per i grandi. I piccoli sono i geni della Natura, i giganti nelle società in crisi vengono convertiti in personaggi ciechi mentalmente e rozzi. È su questo che riflette l'Ottocento. Anche tramite la mente brillante di Verne cerca, anticipando Tolkien, di ripristinare il mondo di mezzo, controbilanciando i mondi del più grande e del più piccolo, che rappresentano i nostri pilastri ancestrali e che attraverso la fantasia narrano le vicende di un'epoca. L'attuale.

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Ippolita Sicoli
Author: Ippolita SicoliWebsite: http://lafinestrasullospirito.it
Responsabile del Supplemento di Cultura "La finestra sullo Spirito" del quotidiano online "ilCentroTirreno.it"
Docente della Federiciana Università Popolare, Specializzata in Discipline Esoteriche, Antropologia, Eziologia e Mitologia, ha partecipato in qualità di relatrice a convegni e conferenze. Ha pubblicato le seguenti opere: “Il canto di Yvion - Viaggio oltre il silenzio” prima edizione Wip Edizioni 2003, seconda edizione Ma.Per. Editrice 2014. Il romanzo “Storia di Ilaria e della sua stella” Edizioni Akroamatikos 2008. La raccolta di racconti per ragazzi “Storie di pecore e maghi” Ed. Albatros 2010. Il romanzo “Il solco nella pietra” Editore Mannarino 2012. Il saggio antropologico “Nel ventre della luce” Carratelli Editore 2014.

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