L'odio come l'udire sono caratterizzati dalla persistenza. L'udire è il sottofondo della vita che ci fa sentire in vita. Udiamo senza ascoltare, sentendoci immersi in un flusso continuo che permea l'esistenza.
Sentire, di cui ho già parlato nei precedenti articoli, ci fa partecipare attraverso tutti i sensi alla vita che scorre. L'ascoltare determina uno scambio tra noi e le altre forme della natura e dell'Universo.
L'ode è una tipologia di componimento scritto ma anche orale che sotto la forma di inno celebrativo innalza l'uomo facendogli superare ogni limite determinato dall'ego e consentendogli di entrare in una confluenza animica col deceduto o comunque con il referente designato. L'ode è una lode che si diffonde già nell'antica Grecia e nel mondo romano e prende vita successivamente in quei momenti in cui forte è il senso di appartenenza. Non ultimo nel Romanticismo.
L'ode è una poesia che ha un intessimento celebrativo non troppo personale. Attraverso l'escamotage della classificazione in genere l'autore si fa portavoce di un sentimento collettivo che trova quindi un riscontro di oggettività nel lettore e smorza il carattere esageratamente celebrativo. Lo vediamo nel 5 Maggio di Manzoni in cui l'autore si rivolge a Napoleone mantenendo il giusto distacco da questi e facendo sì che la levatura dell'opera non scada in ossequiosa lode. Manzoni sa che si rivolge a un personaggio fortemente contestato, che ha disatteso le aspettative di quanti avevano visto in lui la personificazione della propaganda illuminista fondata sui tre valori che avevano rovesciato la monarchia di Versailles. Napoleone per i critici dell'epoca è l'imperatore che mette a soqquadro le singole autonomie europee, ed è anche il tiranno che non accetta mediazioni.
A differenza della laude riservata a Dio e ai Santi, celebre è il "laudato si', mi Signore" di San Francesco d'Assisi in età medievale che viene percepita come preghiera in cui rivivono gli antichi Salmi, l'ode può avere anche risvolti connotativi di stampo politico. La laude intesse un rapporto d'intimità tra colui che la scrive o recita e il referente che è Dio o i suoi Santi ministri. L'ode si pone il problema di un pubblico che l'accolga e la interpreti dalla giusta prospettiva.
L'ode prevede una certa maturità da parte di chi la compone. A monte vengono smussati angoli di odio e rancore. Deve scorrere ponendo in risalto quelli che sono i sentimenti della pietas. È un sottofondo mirato a un pubblico elevato e da elevare ulteriormente, porgendo spunti di adeguata riflessione che vadano oltre la vita stessa, attraverso contenuti che sono propri della vita.
Nonostante la stessa radice della parola "odio", l'ode è l'evidente superamento di ogni forma di attaccamento ai sentimenti umani che ostacolano la maturità. Prevede pertanto un profondo senso di responsabilità da parte di chi la compone e si pone in una condizione di empatico afflato con i lettori. Nell'ode si realizza il contenimento della Hybris che di risposta riceve l'intervento della dea Ate. La terribile dea brutta e accecata dall'odio, che acceca a sua volta l'uomo superbo.
È interessante questo passaggio. L'odio impedisce di vedere nitidamente. Vedere equivale a ragionare, e sulla base di questo spieghiamo la stessa origine etimologica delle parole "vedere" e "odiare". L'odio contagia e contamina l'uomo. Gli antichi lo sapevano bene. Lo avevano appreso dai duri confronti con la guerra. L'odio acceca e divora. Interessante come i verbi inglesi "to eat: mangiare" e "to hate: odiare" siano discendenti dalla stessa radice indoeuropea a cui fa riferimento il Verbo "odiare". L'odio ci distrugge internamente e ci divora, prima ancora che divoriamo chi ci sta di fronte. Questo, concetto frutto di socialità dell'uomo, è stato tramandato fino ai nostri giorni attraverso il racconto diffuso in tutte le aree geografiche del cosiddetto uomo cattivo o orco che mangia i bambini. L'orco è un traslato al maschile dell'antica dea Ate, colei che punisce l'orgoglio umano.