"Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l'aspetto di giganti", pronunciò lo scrittore austriaco Karl Kraus nella seconda metà dell'Ottocento. Una frase che calzerebbe alla perfezione se riportata ai nostri giorni.
Certo, all'epoca, nonostante il declino dei valori dell'uomo scalzati dalle nuove frontiere economico capitalistiche, quanto ereditato dal passato reggeva plasmando un ventaglio significativo di espressioni che abbracciavano tutti i settori artistici, anche in virtù della forte capacità immaginativa e critica oggi in forte declino.
Il sole basso di cui parla Kraus di certo è differente dalla dimensione crepuscolare che contraddistingue il Romanticismo e il Crepuscolarismo. Lo si può congiungere al pensiero wagneriano a riguardo della caduta degli dei e del decentramento dell'uomo da se stesso. Lo sbandamento identitario a cui assistiamo sul finire dell'Ottocento si deve in buona parte allo spostamento delle masse dalle campagne verso le città e alla conversione dei ceti agricoli in quelli operai. Un vero e proprio esodo anche extranazionale ed extracontinentale che minò le radici identitarie dei popoli.
Mantenere fede a se stessi e in vita il filo che ci lega all'Universo immaginifico e a quelle ricchezze interiori che andranno sempre più saccheggiate da un'affamata e aguerrita modernità è alle basi dell'Esistenzialismo niciano. Il Superuomo è colui che va oltre i limiti della società nascente dissacratoria nei confronti del passato e di quegli ideali divini trasfusi nell'uomo.
Kraus e Nietzsche sono di monito alla crisi umanistica che attraverserà il Novecento e che, spinta all'inverosimile, incalzerà nei tempi odierni. Alla crisi di un umanesimo che ha molto di romantico per la confluenza dell'Assoluto nei valori umani, per l'attenzione dell'uomo rivolta ai miti e all'età dell'oro vaneggiata nel Novecento dai grandi nostalgici di un mondo sempre più alla deriva dei contenuti archetipici.
Volgere lo sguardo al passato significa penetrare le sfoglie della coscienza e dell'esistenza stessa e veder corrispondere al declino del soggetto quello della società intera. Lo scrittore onnisciente che abbiamo apprezzato attraverso il Manzoni è un ricordo lontano. La provvidenza da lui interpretata e impersonata che conduce verso un finale dall'autore premeditato è inconcepibile nella nuova età decadentista. La sua ironia paternalistica verso gli umili che combaciano con gli analfabetizzati è fuori da ogni logica oltre i confini dell'Ottocento. Già con Verga e i Malavoglia assistiamo a una provvidenza che non regge e non sorregge, incapace di guidare l'uomo verso la riuscita della propria realizzazione. Da qui una nuova forma di ironia che ha matrici ideologiche e che sposa una provvidenza figlia del principio secondo cui il cambiamento porta alla sconfitta dell'uomo. È il declino di un'età borghese idealizzata, sostenuta dai padri del Risorgimento e non ultimo dal Manzoni.