I numeri sono una fredda ancora nelle oscillazioni della vita. La risposta alle intemperie interiori. Sono un tetto sotto il quale ripararsi quando la pioggia oscura il sole.
I numeri non hanno sentimenti, eppure illudono. I numeri impostano la nostra mente, ma non neutralizzano il cuore per sua natura richiamato dall'altrove riposto nei misteri della sostanza umana. La lotta dell'individuo si articola su due fronti, quello intimo e quello sociale. Spesso i due fronti contrapposti si compenetrano divenendo l'uno imprescindibile dall'altro. Il tema del sociale ad esempio, puo' deviare il corso prestabilito della vita del singolo.
Possiamo dare il nome di casa a una patria se avvertiamo in essa il radicamento delle nostre identita', o di nazione se la politica di chi ci governa ha il sopravvento su ogni singolo individuo che si riconosca in quell'assetto familiarmente chiamato Patria.
Si e' in pace con se stessi e con l'intero popolo di nostri simili se i due principi di patria e nazione coincidono nello svolgimento della Storia, ma cio' e' alquanto raro che si verifichi e soprattutto in quegli Stati in cui l'economia non gode di una sua autonomia. Il sentimento di patriottismo eretto su forme di cultura ancestrali incontra l'amore per i propri luoghi che si scopre possiedano un'anima. Conseguentemente a cio', il suddetto sentimento e' doppiamente vilipeso e tradito da una politica che non risponde all'anima dei luoghi e della sua gente. E' il caso dell'Irlanda sottoposta alle angherie del governo centrale inglese da tempo immemorabile e costretta a vedere flotte di suoi figli intraprendere viaggi avventurosi e spesso mortali per i lidi d'Oltreoceano. L'immigrazione di massa degli Irlandesi a meta' ottocento fu la testimonianza del fallimento di uno Stato, dovuto alla politica coloniale e di sfruttamento atta a spremere le terre vassalle. Una sconfitta per l'Occidente animato all'epoca da sacri ideali nazionalistici, oltreche' della civilissima Inghilterra e della rigogliosa Irlanda, terra di pace e di atavica fierezza.
Questo e' il tema intorno a cui ruotano le prime pagine del romanzo Una casa di acqua e cenere dell'autore indoamericano Kalyan Ray, dalle incontestabili doti di narratore . Pagine che mortificano ed esaltano la bellezza di luoghi depauperati del loro canto e del loro fascino ancestrale. Pagine grondanti lacrime e sangue, in cui la speranza incespica nel tradimento e nei giochi beffardi del Destino che sparpaglia un popolo alla deriva del mondo, lasciando pero' riverberare anche nelle generazioni future il seme di origine. Nella logica degli eventi che con frenesia si avvicendano con fervore tra le pagine si coglie la percezione della fragilita' umana schacciante e devastante che rende l'uomo cieco e sordo dinanzi alle proprie promesse. La lotta alla sopravvivenza non risparmia nessuno, quando insegue con cupidigia il potere e da sottomessi ci si ritrova impositori aguzzini che dettano legge arbitrariamente. Da qui la domanda. Cio' che noi chiamiamo identita' ci appartiene nell'anima, e' parte di noi o e' invece un concetto imposto e assimilato dall'esterno? Gli insegnamenti che abbiamo ricevuto sono parte di quei valori che ci portiamo dentro e che vanno coltivati con cura, pronti a risvegliarsi nel momento opportuno, regalandoci giorni di primavera. Essi, intrisi di noi, inclinano verso la grazia le stagioni burrascose della vita.