Le opere di Patrizia De Benedetti hanno la capacità di guardarci dentro, ribaltando il concetto che è l'osservatore a tuffarsi nelle meraviglie di un'opera, frugando come tra tesori nascosti.
La capacità che l'Arte odierna rivela nel distaccarsi dalla forma dell'oggetto conduce alla volontà di rintracciare l'essenza spirituale delle cose. Siamo soliti rapportarci al mondo esterno come a un tutto composto di vari elementi la cui anima è il riflesso delle emozioni dell'osservatore. Il mondo esterno è uno specchio riflettente che ci rimanda chi siamo e quanto più l'artista si distacca dal figurativo, tanto più la personalità delle opere emerge rifrangendosi in cristalli di luce che riesumano l'arcana memoria del mare e dei suoi inarrivabili fondali.
Il mare è culla e forma del pensiero. Detriti e relitti in esso continuano a splendere nutriti di sale e del vigore del sole, riconducendoci un mosaico del reale che travolge e stravolge tramite le oscillazioni di suoni che compongono il canovaccio dell'esistenza.
Nessuno è perso se rievoca in sé la culla del mare. Per quanto l'uomo nella sua evoluzione pittorica dal Paleolitico si sia spinto con mezzi rudimentali nella riproduzione di scene ideali, approssimandosi alle forme reali, è vero anche che, nel momento in cui ha preso coscienza del mondo circostante, è andato smarrendo se stesso. Necessario si è reso allora l'orientamento verso l'informale in cui implicito è il ritorno alla culla primordiale rappresentata dall'amalgama di onde e dal loro battito inflessibile.
C'è un'essenza che palpita nel cuore di ogni uomo. Selvatica e indomabile sprona a ricercare nell'Estetica un urlo di rivincita e di trionfo sulla morte che sempre frena l'uomo spronandolo all'arrendevolezza. L'Arte informale, se sorretta da una seria ricerca di contenuti e spirituale, è l'invincibile nascosto sotto le fibre fisiche, che mostra l'audacia di chi si riversa nel futuro. Consegna l'ombra che in quanto indefinibile, solca la sensibilità di chi è capace di rintracciare se stesso nella forma che è sostanza.
La pittura di Patrizia Di Benedetti a questo discorso si accorda in quanto carismatica in una realtà che ha perso l'incontro col vero. Patrizia e il suo estro si mostrano altresì audaci nella misura in cui soverchiano le coordinate spaziotemporali per ricondursi a un tempo che è il timbro e il battito della prima alba dell'uomo. È seducente e verginale la pittura di Patrizia De Benedetti e in quanto ancestrale, rasserenante nelle sue pennellate di azzurro e di verde che riportano all'abc della bellezza solfeggiata dalle prime increspature della luce che s'infila nelle lame taglienti delle onde. La sensazione che si avverte è che punte di coltelli e sciabole abbiano scalfito il mistero dell'arcano per dare vita a un'esplosione di movimenti che obbedisce a un proprio ordine, ricostruendo il tempo e il regno del mare. Sono affacci sulla profondità che governa l'animo umano le opere di Patrizia che non disdegna di sperimentare e di confrontarsi con materiali ancora sconosciuti al talento pittorico, come ad esempio il grezzo cartone. Non esiste superficie che non debba assaporare il tocco della pittura e in questo si ravvisa l'anima naif dei primi uomini che lasciavano sulle ruvide pareti di roccia così come su legno e pietra segni della loro presenza.
Non è propiziatoria la pittura di Patrizia, bensì balsamica. Eleva, facendo incontrare il passato ancestrale con il futuro. Questa operazione si rende possibile solo incrociando i passi con l'identità di chi siamo, recuperabile attraverso un ritorno alle origini della civiltà. In tale prospettiva si spiega lo stile poliedrico dell'arte di Patrizia che non rinuncia ad abbozzi di figure geometriche, né a lanciarsi in una operazione colorata che lascia riecheggiare nell'informale accenni di rotondità insieme ad altri più spigolosi e poligonali.
Le curvature dei rami di palma in una delle sue opere sono l'elaborazione del misterioso e magnifico passaggio tra il primordiale e il percorso storico che vede il Paleolitico concedersi al Neolitico. Sembra di risentire nell'opera in questione il vento che alita sulla terra flettendo l'erba di prato e poi, la raccolta del grano in fasci che riconducono al mondo antico quanto ancora presente sul piano di una sensibilità emozionale. L'artista sembra porsi sulla linea di una morbida continuità con l'arcana figura di Mater Matuta. Con la seducente quanto imponente presenza dell'arcano della Natura. Ecco quindi il senso delle pietre alla base delle palme, pietre rotonde che ricostruiscono il tracciato dell'evoluzione umana.
La primordialità è pace. Nella pace si insinuano i primi passi dell'umanità concentrata sul suo presente che si rendeva costruzione in un tempo in cui l'orizzonte era basso e si viveva di "insieme". La pace e il senso di comunità traspaiono dal carezzevole movimento delle palme. Quì l'azzurro sembra contenere l'indaco, colore dell'anima, virando al verde che è corrente di vita. Tracce di argento sposano i riflessi della luna e la sua vivida quanto discreta presenza. È magica la pittura della De Benedetti e non c'è magia che non punti al recupero dall'interno dell'integrità dell'uomo.
È magica e di monito a un'umanità vagabonda che si sta troppo lasciando andare, dimentica di sé stessa ma che forse, incoraggiata dall'Arte come Arcano, potrà ritrovare oltre all'ombra la sua luce rimossa.
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