Con l'avvento della modernità e della civiltà capitalistica il rendimento legato alle attività lavorative è diventato il fattore principale a cui guardare. Il rendimento sul mercato lavorativo è strettamente connesso alla domanda di chi è a capo dell'impresa e la mantiene in attivo spesso a scapito di un dispendio di energie anche psitiche del lavoratore esposto a eccessive pressioni. È della società odierna aver convertito ogni spazio anche autonomo in impresa, costringendo quindi la persona a sentirsi a disagio o in costante ritardo rispetto agli obiettivi preposti. La società ha difatti minato se non smantellato del tutto la sfera del privato in quanto ritenuta improduttiva dal pensiero consumistico, ostacolando così indirettamente anche i fattori di rendimento sul lavoro. Stiamo dimenticando che tutto nasce dal piccolo che è l’interiorità umana, per poi ampliarsi ed estendersi fino ad abbracciare gli altri, e proprio la dimensione del piccolo che combacia col punto di partenza, oggi viene sacrificata in funzione della realizzazione nel pubblico.
Sono questi sopra abbozzati alcuni degli elementi inerenti al tema affascinante e altresì complesso che andremo ad affrontare in questa intervista rivolta a Federico Falini che ci parlerà della sua professione ancora a molti sconosciuta, quella del life coach, di cui scopriremo la fondamentalità nella realtà odierna.
Federico, incominciamo con l'inquadrare la figura professionale che lei rappresenta. Come si definisce esattamente?
“Mi definisco un leadership coach, ossia colui che porta avanti l'arte d’ispirare e guidare le persone.”
È una professione funzionale all'individuo, prima che alla società.
“Sicuramente. Noi operatori in primis siamo chiamati a guidare noi stessi, prima di impegnarci ad essere utili per gli altri. Non si può pensare di far star bene gli altri se prima non si fa star bene se stessi.”
Molto giusto come presupposto. Quando lei ha maturato la necessità di intraprendere questo cammino professionale? Immagino si sia trattato di un vero e proprio richiamo dal momento che nasce dalla profonda considerazione che si nutre per l'essere umano.
“Infatti tutto è iniziato quando nel lavoro aziendale mi sono sentito un numero e non più una persona. Stavo frequentando un corso sul talento individuale e qui ho compreso quanto io per primo all’interno avessi delle risorse che andavano qualificate in termini di talento. Ho pertanto maturato la volontà di aiutare gli altri a riconsiderarsi sul piano della stima personale, allo scopo di liberarli dalla condizione di sofferenza in cui si trovassero. Come avrei potuto? Mi sono quindi chiesto? La risposta è stata: aiutandoli a fare meglio.”
Si intuisce dalle sue risposte che la sua professione ha un carattere e un indirizzo psicologico. Quale percorso ha dovuto fare per conseguire il titolo di coach?
“La mia formazione scientifica, laurea in Informatica, potrebbe sembrare in conflitto col mio traguardo successivo, appunto il master in “Life e business coaching”, ma in realtà, viste le mie attitudini, il passaggio è stato assolutamente consequenziale, ho solo trasferito nelle mie attitudini professionali come velocità, immediatezza e logica, una maggiore consapevolezza di me stesso che ho acquisito nell’ ambito del mio processo di formazione in "Life e business coaching".
Sicuramente, avere una formazione logico razionale è di importante aiuto all'analisi e prima ancora alla individuazione dei punti su cui intervenire nel lavoro con gli altri. Spesso la sua professione viene confusa con quella del motivatore aziendale. Quali le differenze?
“Il motivatore è colui che agisce nell'immediato e si preoccupa solo di favorire un migliore rendimento del lavoratore all'interno dell'azienda o comunque in tutto quello che concerne l’attività professionale. L'allenatore (Coaching) è invece colui che va più in profondità lavorando su di una realtà più psicologica che di marketing, preoccupandosi di aiutare l’individuo non solo nella realtà lavorativo-professionale, ma soprattutto esistenziale. spingendolo a ritrovare maggiore senso di consapevolezza per affrontare con minor sofferenza lo stress del quotidiano”.
Purtroppo oggi quasi tutti i disagi interiori partono proprio dalla mancanza di autostima. Si è continuamente pressati da orari di lavoro estenuanti, da uno stile di vita non consono alle proprie attitudini, al punto che l’individuo finisce di perdere la nozione di chi è realmente. Chi ha una forte autostima difficilmente crolla, perché difficilmente si farà condizionare dall'esterno e ciò alle leggi che governano il Mercato non conviene. Meno soddisfatti siamo e più vulnerabili diventiamo, al punto da cadere nella rete delle politiche consumistiche. Sembra quasi che il lavoro del leadership coach vada a ledere proprio gli ingranaggi che sostengono le dinamiche aziendali, ma così in realtà non è. Perché?
“Una persona che si focalizza bene su se stessa rende anche sul lavoro. Questo è un dato di fatto. Si aggiunga a quanto ora detto l'aspetto significativo della forte adattabilità della mia professione ai diversi settori, proprio perché non finalizzata al rapporto dipendente azienda, bensi alla persona. Il coach è di fatto un allenatore di competenze trasversali che si prende cura dell'altro, intrecciando con lui un rapporto serio e profondo attraverso vari canali che sono l'ascolto, l’approccio empatico, l’educazione alle relazioni con gli altri.”
Immagino che col quadro pandemico attuale il lavoro per lei sia notevolmente aumentato.
“Per molti aspetti è stato anche facilitato perché adesso curo i miei rapporti con i clienti tramite zoom, organizzando il mio spazio operativo in ufficio. Prima ero costretto a incontri sul luogo stabilito, quindi a spostarmi per raggiungere i miei clienti, ora non è così, vivo il mio lavoro con minore stress, ho anche guadagnato in termini di maggiore concentrazione. Nel mio studio al computer mi astraggo da tutto e da tutti, per concedermi esclusivamente al cliente con cui sono in contatto.”
Lei pensa che la sua professione potrebbe a lungo andare a soppiantare quella dello psicologo?
“Direi proprio che non ci sia questo rischio, nonostante alcuni psicologi considerino noi coach potenziali concorrenti. Lo escludo perché lo psicologo cura nello specifico degli aspetti che sono patologie o di anticamera a queste. Noi offriamo un supporto che spinge la persona a tirare fuori il meglio di sé. Credo piuttosto che le due figure possano collaborare e integrarsi. Ci sono degli ottimi esempi a riguardo. Io per primo ho delle collaborazioni su competenze trasversali con psicologi.”
Federico, la sua è una professione ancora poco conosciuta e immagino che anche qui in Italia ci siano a riguardo forti differenze per fasce regionali.
“La conoscenza varia da Paese a Paese. Nei Paesi nordici quella del coach è una professione abbastanza considerata. In America lo è al punto che per ogni ambito esiste un coach a cui fare riferimento. Qui in Italia nel Nord si incomincia a prendere sul serio questa professione. Al Centro purtroppo molto diffusa è ancora la confusione con il motivatore aziendale. Al Sud il mio è ancora un settore inesplorato.”
Lei attualmente si definisce un libero professionista?
“Sì, ma ho anche delle collaborazioni aziendali. Importante è quella del 2016 con la BNL. Per un cambiamento dell'assetto organizzativo interno alla banca, io e altri siamo stati chiamati a trasformare i dodici direttori di filiale in coach, in quanto disorientati dal cambiamento in atto. È stata un’operazione resasi necessaria, che ha portato i dipendenti ad approcciarsi in modo sereno al cambiamento che prima vedevano con timore. Il messaggio che abbiamo a loro fatto passare è che il cliente va gestito.”
La sua è una professione che tende a migliorare la persona partendo dal di dentro. Ci sono tecniche precise che si adoperano a riguardo?
“Indispensabili sono le tecniche di respirazione e lo yoga. Tecniche adattabili a qualsiasi situazione, indispensabili al fine del recupero della propria identità”
Oggi siamo tutti stressati e lo stress ci porta a decentrarci da noi stessi. Le pesanti ricadute di questa pandemia su attori e operatori del mondo dello spettacolo potrebbero essere contenute tramite l’intervento della figura professionale del coach che vedrei bene inserita anche nelle scuole al fianco di quegli insegnanti che rischiano di ritrovarsi a fine anno scolastico polverizzati dalla loro attività sempre più estenuante.
“Sicuramente quello dell'Arte e dello Spettacolo è il settore che più sta subendo in questo tempo. Nelle scuole sarebbe fondamentale la presenza di un coach anche per riequilibrare l'asse alunno docente. Oggi si tende ad insegnare, trasmettendo informazioni che poi vengono rimosse o semplicemente dimenticate. L'insegnante non dovrebbe perdere di vista la sua funzione che è innanzitutto quella di essere un educatore atto a formare e per formare occorre mettere amore in quello che si fa. Nel tempo rimangono impressi quegli insegnanti che sanno trasmettere la passione per il loro lavoro, perché con la passione infondono valore a quello che danno e sono.”
Oggi abbiamo tutti perso qualcosa. Il mondo d'oggi mette a nudo le nostre privazioni e sembra siamo tutti ombre vagabonde in attesa di riscoprire la luce che ci renda vivi e attivi. Qual è secondo lei il grosso neo della società attuale da cui parte e si diffonde il senso di malessere profondo?
“Tutti abbiamo un posto nel mondo e questo posto per molti non esiste. Non sanno di averlo, lo ignorano.”
Nella società fluida abbiamo dimenticato di essere alberi con le radici piantate nel sottosuolo che corrisponde all’interiorità di ognuno. Al regno proprio e privato che ci tiene legati alla grotta dei primordi. Nel momento in cui ci rendiamo svincolati dalla solidità delle radici, siamo anime in delirio, senza più neanche un nome. Facili prede di chiunque voglia possederci, illudendoci di darci rifugio e riparo, semplicemente un luogo dove sentirci a casa.
Non può esserci casa senza pilastri e i pilastri di una persona non sono che l'amore e la dignità. Se l'amore abbiamo la sfortuna di non averlo incontrato, è dovere di chiunque entri in relazione con noi aiutarci a dare luce a noi stessi, porgendoci il lume della dignità con cui guardare chi siamo realmente e le nostre potenzialità lasciate in cantina e che occorre portare in superficie. In questa ottica si comprende il lavoro del coach fondamentale per tutti e per la società di oggi prima ancora che di domani. In questo momento difficile per la nostra umanità credo che riconsiderare gli altri partendo dalla riqualificazione in termini di persona dell'individuo sia fondamentale. Lo dobbiamo a noi stessi e a chi verrà dopo di noi.
Questa intervista non poteva capitare in un momento migliore di quello attuale in cui si usa e abusa della parola “resilienza".
Ringrazio a tal ragione il coach Federico Falini per aver illustrato con slancio e umana passione la sua attività, aprendo nuove finestre che guardino verso paesaggi prima non considerati che abitano all'interno di ciascuno di noi, perché è da qui che si costruisce la bellezza del mondo.
Da me e dalla Redazione a lui e alla sua attività i migliori auguri.
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