Nel sordo ripetersi. ''La rivelazione'', il primo romanzo di Giuseppe Ciro'
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Giuseppe Ciro'

Interviste e Recensioni

Nel sordo ripetersi. ''La rivelazione'', il primo romanzo di Giuseppe Ciro'

Un racconto crudo che si mostra più vero del vero. Teatro de "La Rivelazione", opera prima di Giuseppe Cirò, è un Comune calabrese non meglio identificato.

"Svecchiarsi" significa dare alla verità un'occasione in più per rivelarsi. In determinate realtà diventa necessario, affinché ciò che è saturo di errori, possa ritrovarsi e mostrarsi in una diversa identità. Cambiare, a volte, in certe realtà, è sinonimo di "recuperarsi" in relazione a un profondo senso di civiltà.

Il romanzo di Cirò è un avvertimento, affinché dall'ordinario possiamo riscuoterci e aprirci a nuove soluzioni sociali e culturali. 

Esistono luoghi che parlano più delle parole e sussurrano segreti che restano imprigionati tra i muri. Sono un triste presagio di ciò che accadrà nell'immediato, oppure un monito affinché la narrazione di un vecchio nastro inciso si interrompa e bruscamente, sbilanciando su un altro inizio.

Ci sono luoghi in cui ogni inizio è nuovo e vecchio. Un sordo ripetersi tra pianti strozzati in gola e finte amicizie, e in cui è d'obbligo sopravvivere.

Inizia con un incontro "La Rivelazione", il romanzo di Giuseppe Cirò, giornalista pubblicista, per cavalcare sempre più velocemente con continui colpi di scena la lotta fratricida che scoperchia un sistema di potere e fa vivere il dietro le quinte di un palazzo istituzionale.

Si è vivi se si opera una scelta e per operare una scelta occorre essere liberi. La libertà per molti è un concetto astratto che abita fuori dai muri di vecchie case che continuano ad essere fatiscenti e pericolanti nonostante riverniciature e ammodernamenti continui, dati agli arredi e agli interni. Qui al chiuso, ci si sente sbriciolare più di quanto non accada ai muri che continuano a respirare, assorbendo quanto capita lì dentro. Sembrano essere queste le sensazioni di Franco Corda, protagonista de La Rivelazione. Quì Cirò riesce a tracciare il profilo di un personaggio oppresso, quasi cadente, che continua però a combattere. 

E tutto così è, finchè non si rompe il cerchio, e per rompersi occorre compiere un atto di libertà verso se stessi e verso gli altri che porti a spazzare via il passato, per ricominciare daccapo ma diversamente.

In Calabria, se a crollare sono gli antichi casolari di campagna, fiancate di colline bruciate dalla mano incosciente o disperata dell'uomo, i luoghi dei delitti umani e sociali restano sempre in piedi, perchè riverniciati a nuovo sempre, come le mani di chi si è macchiato di orribili delitti.

Eppure qualcosa sembra cambiare e l'arma della denuncia lo lascia ridondare. Le lupare non agiscono quasi più, in compenso si ammazza l'economia e il tessuto sociale. Ma il cambiamento a cui mi riferisco è lo stile di chi fa del suo raccontare un'arma innocente che sappia dare un duro taglio a questi giri e raggiri che hanno il nome di sistema. La penna può essere un grande strumento di rivoluzione, osò dire a suo tempo Pertini. Sappiamo questo e l'abbiamo imparato sulla pelle di chi ha fatto della sua professione una vera e propria missione al servizio della giustizia. Le teste cadute agli agnelli bianchi, nobili servitori dello Stato, c'insegnano il potere della scrittura, lasciandoci andare verso altro e incontro all'oltre. E a proposito di questi altro e oltre trova senso e compiutezza l'operazione letteraria del giornalista e scrittore Giuseppe Cirò nel suo romanzo La RivelazioneEdizioni Erranti. Il romanzo di genere noir ci catapulta nel giro di relazioni poco trasparenti che orbitano intorno ai centri nevralgici di un territorio, compromettendone le armonie e le produttività. Da serio giornalista preparato sui fatti della sua terra, Giuseppe riesce a fornire inquadrature perfette di ambienti e situazioni, con una meticolosità chirurgica che evita dispersioni inutili e mira diritto al cuore del lettore. Questo fa sì che la trama si presti a una interessante e avvincente versione cinematografica e teatrale. La narrazione scorre sotto la penna giusta e veloce, in cui ogni singolo passaggio contribuisce alla costruzione del senso della storia. Lo stile fresco al contempo utilizza un lessico di strada mai volgare, tipico di determinati ambienti in cui l'efficacia cruda del dialetto serve a intimorire e a sedare la preda. In effetti, scorrendo le pagine di questo romanzo, sembra di camminare sui fili di una ragnatela in cui facilmente si può precipitare nel vuoto di una realtà che solo una penna efficace sa raccontare.

Il romanzo sa trasmettere messaggi e contenuti in forma schietta e diretta, senza incorrere in artefici che potrebbero alterare le intenzioni e le prerogative alla base del racconto. Il tono narrativo sa comunicare in modo universale fatti che sono ciascuno esempi isolati ma che raccolti e condotti abilmente diventano esplicativi di tutta una rete di rapporti che imbriglia e trattiene l'evoluzione di una cultura e della sua gente. L'Arte, in questo caso la scrittura, non è arma illusoria finalizzata alla distrazione, ma al contrario è strumento di attrazione e concentrazione, affinché un fatto diventi indicativo di una condizione di arretratezza e ristagno in cui gli ossimori giocano un ruolo forte a livello di comunicazione e di minaccia. La rivelazione è frutto dell'azione dirompente della luce che, epifanica si mostra, e dove c'è luce, regnano calore e bellezza. La trasparenza è figlia della luce, entrambe parole femminili che però cozzano con quanto attiene al personaggio Rosaria. La scelta di costei diviene allora emblematica di una doppia punta e della pericolosa ambivalenza che gli opposti hanno nell'evoluzione psichica di un popolo. Questa ambivalenza che tesse la rete dell'ambiguità, è rafforzata dagli epiteti dialettali che come tra le fasce basse della popolazione sono soliti comparire anche in quel tessuto dirigenziale che manca di rinnovamento e rimane ancorato a quel tradizionalismo ostile alla luce. Sapunetta che sembra quasi la maschera di una commedia popolare, è in realtà il prototipo di chi mantiene in vita un certo costume sociale, dissonante dai livelli di una civiltà dagli sviluppi esemplari. Trova quindi più di un significato toccante "chi deve soldi non deve mai temere per la sua vita". Espressione nuda e cruda che apre a diversi interrogativi inchiodati dalla narrazione e interpreta il dilemma dell'abitudine come rassegnazione. È muto silenzio da parte di chi va avanti a capo chino, perché non concepisce alternativa. L’abitudine è quindi di preambolo all’inerzia che si focalizza sul tirare a campare e come una maledizione grava ancora su certe realtà, impedendo loro di comunicare in modo trasparente e di raggiungere la luce.

La Rivelazione riesce a darci una strada, una strada verso la libertà.

 

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Ippolita Sicoli
Ippolita Sicoli