L'apertura agli altri implica una visione esaustiva della realtà umana. Si ricerca il valore della vita nel rapporto interpersonale, esso stesso radice della verità. In tale prospettiva l'attivita' documentale ha fatto sì che la fotografia uscisse dagli sterili ambiti della testimonianza storica divenendo interprete di un racconto al cui centro fosse lo spirito di un popolo. L'occhio della macchina fotografica o della telecamera estrapola verità che richiedono una conoscenza profonda dei mezzi di trasmissione e quella sensibilità atta a captare contenuti che si fissano poi nell'immaginario di chi legge il documento, anche solo sottoforma di scatto o scena.
Esistono tante verità e tutte queste verità prendono sostanza in base ai contenuti che il promotore possiede dentro di sé. Nel pieno relativismo che ci governa, parlare di verità unica puo’ portare a risultati fallimentari o comunque, introdurci a condizioni ingestibili. La verità è quella che uno coltiva nella propria anima e che con umilta’ è in grado di porgere. È in tale ottica che introduco il protagonista di questa intervista. Figlio d'arte (il padre è Oberdan Troiani che come direttore di fotografia ha lavorato per grossi nomi del cinema nazionale e internazionale come Orson Welles, Lizzani, Visconti e tanti altri) Massimiliano eredita la passione e il gusto della fotografia che lui traspone nei documentari che raccontano la civiltà di uno è più popoli, soffermandosi sugli aspetti magico ritualistici. Antropologo con la passione dell'esoterismo, conduce la sua vita all'insegna della scoperta di luoghi e realtà umane in cui calarsi con la mente sgombra da pregiudizi di ogni sorta e con la disposizione d'animo a raccogliere.
Massimiliano, che ricordo conserva di suo padre?
"Era un grande professionista che lavorò in un momento in cui il cinema era diverso da quello odierno dal punto di vista tecnico e produttivo, in quanto nascevano capolavori che ancora oggi restano validi. Mio padre ebbe la fortuna di collaborare con giganti quali Orson Welles, Visconti, Ioris Ivens, e altri; e poi lavorò in televisione, proprio quando questa cominciava a muovere i primi passi. Insieme a Virgilio Sabel (un genio mai abbastanza apprezzato) realizzo’ per la Rai “Viaggio al Sud”. Parlo dei primi reportage (siamo negli anni Cinquanta...) girati in un magnifico bianco e nero."
Lei è un grande viaggiatore, cosa rappresenta per lei viaggiare?
"Ho avuto la passione per il viaggio non a scopo turistico...sin da ragazzo e a vent’anni partii da solo per l’India, dove continuai a girare per cinque mesi con una Citroen Dyane fino a raggiungere il Nepal. Da qui ritornai a Roma, la mia città, attraversando diversi paesaggi di territori immensi. Dunque, in seguito, mi sono dedicato al mio lavoro (il teatro) affinche’ mi portasse a viaggiare per il mondo. Da qui, presto arrivarono le tournée in Europa ma anche in Cina, Pakistan, India, Turchia. Ma quando il teatro ha cominciato a starmi stretto ho ripreso ciò che avevo acquisito nel lontano apprendistato con mio padre, perciò ho unito queste conoscenze ai miei studi giovanili di antropologia, insieme ai miei interessi per lo studio delle pratiche esoteriche che sopravvivono soprattutto nelle “culture altre”, ovvero dove le esperienze magico/esoteriche restano più solide, e cio’ accade negli strati più poveri. Così ho viaggiato in “mondi” che sono veramente il sottosuolo dell’umanità: bidonville e slum dell’Africa, del Perù, del Brasile, dell’India e lì ho spesso trovato ciò che cercavo. Il mio ultimo lavoro ha per titolo “TRA IL VANGELO E IL VUDU’” girato nell’Africa occidentale, terra d’elezione del vudù. Un’esperienza straordinaria che mi ha profondamente segnato. E da lì è nato anche un libro fotografico, ma non solo: “MALATTIA & MAGIA, grazia e cura in Africa” (ed. Effatà). Lì ho affrontato il tema della malattia e il diverso modo di come viene affrontato nelle culture africane che non vedono mai una malattia del corpo separata dalla dimensione spirìtuale."
Splendido. Lei ha studiato teatro ed è anche regista teatrale. Dove in lei s'incrocia questa passione con quella dei viaggi?
"Del teatro amavo ed amo il suo aspetto più “arcaico”, non a caso dopo due importanti esperienze di prosa (con Ronconi e Cecchi) ho messo su una compagnia di teatro di figura sperimentale: burattini, pupazzi, ombre. La compagnia americana del Bread & Puppets era il mio riferimento insieme al lavoro del grande Peter Brook, ma certo non sono mai arrivato ai livelli di potenza narrativa e di ricerca che avevano quegli artisti. Poi la vita mi ha portato a lavorare proprio nel campo della prosa. Mi sono arrivate infatti proposte a regie su lavori di Pinter, Shakespeare, Miller, ecc..Alcuni risultati sono stati ottimi, ho vinto anche un premio per la miglior regia per tre allestimenti di Harold Pinter, ma sentivo comunque la “prosa” non proprio nelle mie corde. La frenesia del viaggio ritornava, presi una telecamera e una macchina fotografica professionali e cominciò un altro segmento della mia vita. Il maggior riconoscimento è arrivato con una mostra personale di mie foto al Palazzo di vetro dell’ONU a New York nel 2008."
Complimenti. Uno dei suoi primi viaggi l'ha portata in India. Cosa rappresenta per lei questa terra?
“Molte sono le porte per entrare in India, poche quelle per uscirne”...diceva un viaggiatore dell’800. Ed è proprio così. L’India, presa per certi versi, ti si aggrappa dentro. Ho cominciato a viaggiare nel subcontinente dopo un periodo di studi all’Università e poi a seguito di miei studi personali. Il primo viaggio di sei mesi (nel 1974) fu una specie di full immersion. Era ancora il periodo della “transumanza” planetaria degli hippy, dei giovani alla ricerca dell’India mistica, sulla spinta di Herman Hesse, dei Beatles, della beat generation ecc. S’incontrava di tutto, nel bene e nel male, dunque fu un’esperienza forte che metteva nello stesso crogiuolo molte energie, a volte in armonia, a volte in conflitto. Poi nei miei successivi viaggi ci sono tornato con più...cultura. Conoscevo meglio alcuni testi di filosofia indiana, le sue varie correnti, la storia stessa dell’India, e riconoscevo comunque l’estrema complessità di quel mondo. Viaggiavo sempre nei “meandri” di una ricerca dei segni del sacro. La divinazione con le foglie di palma, l’astrologia indiana, la lettura...dell’ombra che proietta il nostro corpo, la chiromanzia...finché nel 2002 non venni invitato dalla Darpana Academy di Ahmedabad a realizzare una regia teatrale. Proposi allora un allestimento dell’Eneide di Virgilio. Alloggiai per due mesi nella stanza dove era stato ospite niente poco di meno che il Mahatma Gandhi. Intanto filmavo materiale per due documentari: uno sugli eunuchi indiani (fenomeno interessantissimo che scoprii stando lì in India) e poi uno sul Mahatma Gandhi, che realizzai grazie all’incontro con alcune persone che erano state a contatto diretto con quella straordinaria figura, durante gli anni di lotta contro la presenza britannica nel subcontinente."
Lei ha girato anche dei documentari in Africa. Cosa le ha lasciato questa esperienza?
"L’Africa è un mondo molto complesso, rimasto profondamente ferito dagli anni del colonialismo, dalla tratta degli schiavi e da altre iniquità. Ci si rivolge a lei sempre con un senso di superiorità tale da ottenebrare le sue enormi qualità che però non rientrano nei nostri parametri culturali, economici, filosofici, religiosi ecc. Pertanto da noi non sono considerate valide. Certo è che l’Africa ha prodotto anche pessimi soggetti, soprattutto politici, e il post colonialismo è spesso peggiore della fase precedente, come scrive il filosofo camerunense Mbembe. Ma questo è un altro discorso. Amo l’umanità delle Afriche (uso il plurale per rispetto alle sue enormi differenze che convivono, e se noi europei siamo diversi dalla Sicilia alla Svezia, figuriamoci quanto lo siano le genti tra l’Algeria e il Mozambico!). Ma se parliamo dell’Africa subsahariana, che è quella che conosco meglio, parliamo di un potenziale energetico umano immenso (...il potenziale delle ricchezze ci pensano le multinazionali a valutarlo, a me non interessa) che, forse è duro da ammettere, sono state proprio le ben note difficoltà economiche e ambientali a preservare. I bambini della savana giocano nella natura in cui sono nati, se non sono aggrediti dalle malattie o dalla fame, non mi sento in diritto di dire che siano più infelici di un bambino europeo che passa la sua infanzia attaccato davanti ad uno smartphone o ad un computer ed è bombardato di pubblicità h24. Questo ha lasciato dentro di me l’Africa e credo che il suo “grande ritardo”, come diceva Boubou Homa, è il bene più grande da cui l’Occidente industriale può attingere. So che è una posizione poco condivisibile per molti, ma io la penso così e per questo amo l’Africa."
Bellissima posizione che personalmente condivido. Quando rientra in Italia, dopo i suoi viaggi, si sente cambiato?
"I primi giorni è come se un po’ del “polline” del luogo dove ho viaggiato mi rimanesse piacevolmente addosso. L’atmosfera dei templi indiani, i mercati africani, i panorami delle Ande, ti restano addosso. Una Messa cristiana, per esempio, in Africa è un rito potente, la gente vi partecipa con una devozione che da noi sinceramente non vedo più. Allora ti accorgi che quel viaggio, se… lo sai usare, ti può aiutare a cambiare, ma solo aiutare ovviamente, perché il cambiamento vero dipende solo da te."
Cosa rappresentano per lei le tradizioni?
"Tradizione è una parola spesso abusata e usata…furbescamente per non cambiare certe cose. A me affascinano quelle tradizioni che sono vere pratiche e costumi che certe etnie hanno saputo salvaguardare, non necessariamente in Africa. Il Giappone, per esempio, è riuscito a coniugare il futuro prossimo con pratiche antiche e anche l’India ha mantenuto pratiche e costumi ancestrali. Ma spesso le tradizioni spacciate per antichissime sono invenzioni storiche, utili a chi le inventa, appunto."
Lei ha una grande ammirazione per la Cina. Cosa in particolare di questa antica civilta’ l'affascina?
Non la frequento molto, ma ho ammirazione per la cultura cinese che, insieme a quella indiana, è il fuoco culturale dell’Estremo Oriente. Il Giappone, ad esempio, è costruito su tre pilastri che gli ha portato (senza guerre!) la Cina: il buddhismo, il confucianesimo e gli ideogrammi kanji, ovvero la scrittura. Non è poco…. India e Cina sono state l’humus per tante civiltà, in paesi non a caso definiti indocinesi.
Di particolare impatto emotivo sono i suoi documentari sullo Sciamanesimo e sui riti africani. Ritiene che il confronto con queste culture così distanti possa risultare utile all'Occidente?
"Lo sciamanesimo (termine siberiano) è la radice di tutte le religioni e ognuna di esse, lo voglia o no, ne porta ancora tracce. Ho avvicinato sciamani in Perù e in Africa e le loro pratiche sono un tipo di conoscenza che sfugge alle nostre categorie mentali occidentali. Ma guardi che nella Roma antica c’erano figure e pratiche che oggi si ritrovano ancora addirittura nei riti vudù. Uno fra tutti, il dio Terminus: era esattamente come la figura del Legba che si ritrova nella tradizione vudù. Ma la gente pensa al vudù solo a una pratica con gli spilloni che trafiggono i bambolotti e a cose di questo tipo."
In fondo il linguaggio magico rirituale lo si riscontra alla base della cultura umana che parla un linguaggio universale. Ritornando al discorso prima toccato sulle differenze tra Occidente e mondi lontani, quali sono i luoghi comuni piu’ diffusi da noi riguardo all'Africa, che secondo lei andrebbero sfatati?
Suvvia… ognuno quando sente parlare di Africa pensa immediatamente ad una immensa zona d’ombra, ai bambini tristi con le mosche agli occhi, e ad economie incapaci di stare al passo con il “progresso”!...una delle parole più ambigue del nostro vocabolario insieme a “moderno”. Chi decide cosa è progresso e cosa è moderno? Se usassimo per esempio l’arte come parametro, dovremmo riconoscere un debito immenso all’Africa. Grandi artisti (Picasso, Gaugin, Brancusi per le arti visive) hanno riconosciuto che l’Africa è stata la linfa vitale che ha risollevato l’arte europea a inizio ‘900. Non parliamo poi della musica, non solo del jazz…ma dei lavori di Stravinsky e di tanti altri. Purtroppo i luoghi comuni sono figli dell’ignoranza e sono duri a morire.
Purtroppo, e mi permetto di aggiungere che la peggiore ignoranza è quella dell'anima, difficile da sconfiggere. Continuando, lei ha portato in giro per il mondo il suo teatro. In cosa consiste la particolarità dei suoi spettacoli?
"Erano lavori costruiti in gran parte con immagini e queste, si sa, sono un linguaggio più immediato di quello della parola. La regia dell’Eneide in India fu molto interessante perché mescolava, come su una tavolozza drammaturgica, elementi e segni della mia cultura europea (classica e moderna) con quelli della tradizione indiana. Pertanto l’Enea eroe virgiliano era molto simile a Yudhisthira, uno dei protagonisti del Mahabharata, antico testo indiano. Ricordo quanto fu eccitante lavorare con musicisti indiani e con attori che facevo recitare in diverse lingue: inglese, hindi, mentre alle loro spalle si proiettavano frasi in sanscrito e latino. In una scena ho fatto recitare un’attrice usando le “mudra”, ovvero un codice di narrazione che consiste nel solo movimento delle mani e degli occhi, in uso nella danza sacra indiana. Ovviamente sapevo che lì il pubblico conosceva quel codice, in Italia non avrei potuto usarlo, se non come…elegante e colto segno di scena."
Massimiliano, come ha superato lo scoglio della lingua a proposito dei suoi spettacoli?
"I miei spettacoli allestiti qui in Italia e poi portati in tournée erano, come accennavo, costruiti con diversi linguaggi teatrali, spesso inediti per il pubblico pakistano o cinese, che appunto per questo rimaneva affascinato da forme nuove di narrazione teatrale."
Lei si considera un uomo soddisfatto per tutto ciò che ha realizzato nella sua vita, ma altrettanto deluso dalla società. E’ così?
"Diciamo di sì, ma certo questa è una domanda che presuppone qualche “sfumatura” e argomentazione. Non mi considero certo “a parte” dalla società, pertanto mi sento anche un po' deluso da me stesso. Le grandi e luminose e a tratti ingenue aspettative, di cui forti personalità sono stati faro e ispirazione, sono certamente andate deluse; istanze filosofiche e religiose e politiche mettevano in guardia sul sentiero che il mondo occidentale stava intraprendendo e non sono state ascoltate, ma anzi sbeffeggiate. Purtroppo il nostro modello economico è diventato il diapason a cui tutto il pianeta si è più o meno volontariamente accordato. Ed ora siamo a questo punto, con modelli e una Natura (che io considero spinozianamente sacra) compromessa. Gli iIndiani direbbero che il Kāli Yuga, l’Età della confusione, è una strada ancora lunga da percorrere."
La verità e il rispetto per l'uomo sono i grandi temi degli animi più sensibili. Cosa sente di dire a riguardo?
"Cosa posso dire? Se all’Homo Sapiens non sono state sufficienti migliaia d’anni per inventare una strada di convivenza e dunque capire che l’esquimese, l’italiano, l’aborigeno australiano, il rom, il cinese, eccetera sono tutti elementi dello stesso clan umano e che avrebbe dovuto elaborare comportamenti di rispetto per se’ e per la natura da cui non siamo separati ma ne siamo parte integrale, la vedo dura. Ma c’è un adagio ebraico che mi conforta e mi dà forza, e dice così: ” Non spetta a te completare il lavoro, ma nemmeno sei libero di esonerartene”".
Ogni popolo ha i suoi cicli che si ripetono nel corso della macrostoria così come nella storia archetipica spesso passata sotto silenzio. Questa, attraverso l'elaborazione dei miti offre, supportata da una capacità d'intelligente interpretazione, quelli che sono i momenti di volo e di inabissamento vissuti dall'Uomo sul piano dell'energia spirituale. È facile quindi constatare sulle basi di quanto detto, che religioni e miti si riconducono alle stesse radici che posano nell'uomo al di sotto delle variopinte ramificazioni che i diversi imprinting hanno su di esse applicato.
Ringrazio Massimiliano Troiani per averci introdotti nell'affascinante mondo dei Viaggi inteso non secondo i canoni di chi vuole fare turismo, ma con quello spirito di estrema apertura proprio di chi ama il confronto col diverso e non teme di subirlo. A lui e alle sue encomiabili passioni i migliori auguri da parte mia e della Redazione.