Il patrimonio olfattivo e cromatico del vino, quando la natura si rende pittura. INTERVISTA all’artista Elisabetta Rogai
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Il patrimonio olfattivo e cromatico del vino, quando la natura si rende pittura. INTERVISTA all’artista Elisabetta Rogai

La cultura del vino è legata indissolubilmente al territorio in cui si sviluppa la vite.

Il vino, prima di essere bevanda, è paesaggio nel paesaggio che sposa l'anima della terra che lo produce. In questo il vino è velluto scioglievole che percorriamo con lo sguardo affacciandoci su colline e campi dei nostri luoghi. Il vino diviene quindi nettare e rifugio delle nostre emozioni coniugandosi con la dimensione privata e onirica propria del femminile. Il carattere nascosto del vino risiede nella sua capacità di evocare e suggestionare attraverso il bouchet di fragranze che regala all"olfatto nuvole di fuggevole oblio. È anche in questo la sua sacralità. Nel suggerire ciò che non si vede, eppure ha dimora nei recessi della nostra anima capaci di essere svelati dal tatto dolce dell'artista che da esso si lascia sedurre e condurre.

Dipingere col vino può apparire un fatto lezioso, una sperimentazione da esibizionisti se si trascura la grazia e il senso di rispetto che porta l'artista verso il vino, ben altro dal liquido che istiga alla follia. L'artista che presento in questa intervista di tatto e gentilezza ne ha davvero tanto, al punto da abbinare al vino e alle sue pigmentazioni il proprio universo interiore.

Elisabetta Rogai, pittrice fiorentina, ha sposato i paesaggi che i suoi occhi colgono e la culla della sua provenienza. Attraverso il vino racconta e si racconta.

Elisabetta, lei ha iniziato a dipingere all'età di 9 anni. Ci racconta cos'ha provato, allora?

"Posso dire di esser nata con l'amore per l'arte. Fin da piccola sono affascinata dalle grandi opere d'arte. Cercavo di copiare gli angioletti del Rosso Fiorentino, i personaggi della Primavera di Botticelli. i fiori dell'Annunciazione di Leonardo. Impazzivo per i vasi di fiori di Oscar Ghiglia, per le nature morte di Morandi e per i paesaggi di Rosai. A nove anni dipinsi la prima tela ad acquerello, pensando fosse la tecnica più semplice. L'acquerello, al contrario è la più difficile, poiché la sua esecuzione non lascia spazio a ripensamenti, come invece succede con l'olio su tela. Rappresentai un prato con tante farfalle multicolori. Le ricordo benissimo. Cercai le varie specie sull'Enciclopedia Conoscere e le riprodussi. A me, bimba di quarta elementare, sembrò un capolavoro. La prima vera mostra personale la feci a diciassette anni. Fu un successone."

Nel 2010 lei ha scoperto per puro caso l'utilizzo del vino nella pittura. Ci vuole raccontare l'episodio?

"Come dicevo, ho sempre dipinto, su molteplici supporti: canvas, lino, juta, denim, (la tela jeans) e addirittura su seta (il drappellone del Palio di Siena dell'agosto 2015) Ho fatto affreschi in luoghi istituzionali, come quello eseguito per commemmorare i 70anni di Arma Aeronautica, commissionatomi dallo Stato Maggiore aeronautico, situato di fronte a quello di Annigoni e dietro a quelli di Colacicchi. Ho usato diverse tecniche: olio, acrilico, crete, acquerello...poi, un giorno, da una macchia su una tovaglia di lino, capii che, se il vino lasciava un segno sulla tovaglia, sulla quale era stato sbadatamente versato, l'avrebbe lasciato anche sulla tela.
E lì iniziò il mio eno-percorso, nacque la mia enoarte."

Lei e’ una pittrice apprezzata perché  ha saputo traslare l'utilizzo del vino in pittura dalla carta alla tela. Occorre preparare il vino  secondo una procedura particolare, prima di utilizzarlo?

"Fin dalla preistoria, l'uomo usava pigmenti colorati per le rappresentazioni rupestri. Il vino colora, ma a causa della volatilità dell'alcol, è destinato a sbiadire. Più o meno tutti i  pittori dell'800, andavano nelle osterie e tuffavano il pennello nel vino, improvvisando schizzi sulla carta. NON è arrivato a noi nessun elaborato  con questa tecnica che prende il nome di vinnarelli, perché il vino pian piano scompare. Era necessario trovare il modo di togliere l'acqua al vino e lasciare i pigmenti colorati dati dagli antociani. Provai a bollire il vino, ma perdeva le qualità organolettiche (odore e colore soprattutto), così con l'aiuto di un professore di chimica organica, arrivai al mio intento e brevettai la scoperta di una "ricetta"che tuttora non voglio rivelare."

Elisabetta, ci racconta la sua partecipazione al  Palio di Siena?

"Correva l'anno 2015, mese di gennaio. Avevo una mia personale a Palazzo Medici Riccardi. Venne a cercarmi ed a vedere la mostra il Sindaco di Siena. Era l'anno dell'Expo. Io dipingevo con il vino. Alla richiesta  se accettavo di dipingere il "Cencio" del Palio dell'Assunta, non ebbi esi tazioni. Il Palio di luglio viene sempre dipinto da un artista senese,   quello di agosto da un artista di respiro internazionale. Fu un'esperienza davvero UNICA."

Per lei il vino è  legato a un discorso più  tecnico che filosofico e le permette  di sentirsi ancora più  vicina alla Natura. Cosa rappresenta  quindi per lei che è  astemia?

"Io sono, come amo definirmi, un'astemia redenta. Iniziando a usare come mezzo d'espressione il vino, ho imparato prima che ad usarlo, a degustarlo. Prima ancora, però, a goderne i profumi. L'uso del vino, non è solo un discorso tenico: è un percorso sensoriale, cromatico, psicologico. E' uno studio su quale sfumatura di colore acquisirà quando, col tempo, si ossiderá sulla tela. L'uso del vino non mi obbliga a servirmi di soggetti legati necessariamente al vino. Non mi sento legata a stereotipi che fanno parte del mio patrimonio storico-artistico, quale la raffigurazione di baccanali o scene mitologiche tratte da vasi greci o similii. Il grappolo d'uva è un tema ricorrente, ma non obbligatorio, così come il calice di vino."

Esistono vari tipi di vino che stimolano la sua capacità di raccontare ed esprimersi sulla tela. In base a cosa lei seleziona il vino da adoperare?

"A volte sono io che scelgo il vino, poi, seguendo i miei sensi cerco il  soggetto, ma il più delle volte è il  soggetto che mi suggerisce il vino, ma soprattutto è l'azienda vinicola che mi ingaggia per promuovere il proprio vino. Io non ho mai accettato di lavorare per una cantina del cui vino non sono convinta."

C'è  qualche vino che lei predilige particolarmente?

"Adoro il Brunello di Montalcino, ma anche un buon Chianti Classico, un Montepulciano d'Abruzzo, un Nero  di Troia, un Nero d'Avola. Naturalmente parlo non a livello di gusto, ma di risultato cromatico. Infatti alcuni vini, col passare del  tempo, da rubino diventano sulla  tela, invecchiando, terracotta; altri virano sul melanzana, prendendo un rosso più freddo."

Lei ha sviluppato una sensibilità olfattiva davvero singolare nei confronti del vino. Quanto questa sensibilità incide sui  suoi lavori?

"Io vedo abbastanza bene, ma porto gli occhiali, sento bene, ma per gusto e olfatto non mi batte nessuno."

Lei in quanto pittrice, viene contattata dalle aziende produttrici  di vino. Quali lavori le richiedono?

"Spesso scene legate alla vita della cantina, ma il più delle volte ritratti di famiglia, magari contestualizzati. Il massimo per il Marketing dell'azienda è veder dipingere un'opera con il suo vino durante una performance live, mentre gli ospiti degustano lo stesso vino. È un triofo di profumi e una soddisfazione per l'intelletto. Specialmente gli stranieri ne vanno pazzi. Infatti la mia enoarte è stata apprezzata prima in Cina e negli Stati Uniti, poi qui in Italia. Qui non eravamo ancora preparati.
Tornando alla domanda: se voglio Dipingere con altri elementi? No se pensa al sangue no, mai e poi mai. Sono una donna solare, positiva, tutto ciò che mi circonda è legato al bene ed al bello."

Elisabetta, lei dipinge anche con l'aceto balsamico di Modena. Le sensazioni del prima e l'effetto del dopo sono simili a quelli che procura il vino?

"L'aceto invecchiando assume una colorazione più doce, ambrata, bronzo oro."

“Lei è del segno zodiacale del Toro, quindi sospesa tra realtà  concreta e sogno. Quanto il vino l'aiuta ad esprimere il suo mondo interiore?

S"ono una donna con i piedi per terra, ma amo anche andare oltre la realtà, un po' come rifugio, un po' perché ritengo che l'arte, per essere espressa al meglio, necessiti di percorsi che spesso esulano dalla realtà."

Trova che il vino abbia una sua identità  di genere?

"Il vino non ha assolutamente un'identità sessuale, gli viene attribuita da chi lo degusta a seconda del suo stato d'animo, dei suoi desideri."

Lei ha stretto un legame indissolubile col vino. Se le proponessero di utilizzare un’altra sostanza al suo posto, accetterebbe?

"Odio essere identificata come quella che dipinge come sperimentatrice. Il mio non è un divertissement. Il mio è un vero e proprio studio sul risultato cromatico di alcuni elementi della natura. Lo prova è il disegno anche con la Fusaggine di vite, col rametto della vite bruciato. Ho grande rispetto per il pianeta. Mai sprecherei del vino. Spesso le aziende mi danno del vino che sa di tappo e non risulterebbe buono al palato, sulla tela invece non ci si accorge."

L'arte è il mezzo con cui entrare in sintonia con la nostra intimità e il vino, per come lo utilizza l'artista Rogai, è lo strumento preparato e affinato con cui realizzare questa operazione. Il vino non è solo sopore e sedazione, in questo caso risveglio e rinvenimento. Riappropriazione di quel patrimonio onirico sedimentato nell'inconscio. Grazie alla pittrice Rogai abbiamo scoperto un altro approccio al vino che ha del magico, parallelo a quello ieratico mitologico che conduce a Dioniso e a Bacco.

A Elisabetta Rogai i migliori auguri da parte mia e della Redazione perchè possa continuare a regalarci attraverso le sue opere emozioni e bellezza.

 

Ippolita Sicoli
Ippolita Sicoli