Il cinema, quello vero, oggi stenta ad esistere, adombrato dalla necessità di lasciare sempre più spazio all'immagine in sé.
Proprio la forte spinta dell'immagine a imporsi come valore assoluto ne sta decretando la fine. Il Neorealismo come pure il Simbolismo e il Realismo fantastico oggi arrancano anche nella cultura cinematografica. Il macabro quadro che l'umanità presenta stimola la visione dell'immagine che risulta sempre più avvinta da esigenze scandalistiche in moto verso nuovi canali espressivi aprioristici rispetto alla sensibilità individuale. Il fine è quello di incrementare una visione negativa della realtà, provocandone una lettura unipolare e affatto critica.
L’immagine in movimento della pellicola dovrebbe essere liberazione e guida verso nuove porte di uscita e di rientro, dalla realtà. Un regista che ha sicuramente a cuore il cinema di qualità e il suo futuro è Salvatore Romano autore e direttore del cortometraggio Liberi di sorridere promosso dall'Associazione Liberi nel Sorriso di Cosenza, vicina al dramma di chi é affetto da Sclerosi Multipla, e che vede la partecipazione dell'attore Costantino Comito.
Come nasce, regista Romano, la sua passione per il cinema?
“La passione per il cinema viene da molto lontano. Ho sempre sognato da bambino di scrivere e poi di dirigere un film. Nel tempo sono riuscito ad assemblare le immagini, a ordinarle nella giusta sequenza, dando corpo a questo sogno di bambino.”
C’e’ un episodio della sua infanzia che lo ha particolarmente indirizzato verso questa passione?
“Non c'è stato un momento o un episodio particolare. Tutto è venuto da sé richiamato dall'esigenza profonda di ricordare. Io amo ricordare e riportare a galla segmenti o scene del mio vissuto.”
Il grande schermo suscita sempre una certa emozione. Si considera una persona nostalgica?
“Sicuramente sì. Il cinema mi dà la possibilità di esprimere la mia nostalgia.”
Guardando il cortometraggio “Liberi di sorridere” sembra quasi che lei viva il cinema come una missione, è cosi’?
“Effettivamente sì. Per me il cinema ha un significato profondo, offrendomi l'opportunità di aiutare gli altri, chi soffre ed è abbandonato al suo dolore. Il cinema per come l'intendo io dovrebbe porgere la voce ai temi che affliggono l'uomo e l'umanità.”
In tanti oggi nel mondo del cinema tendono a cavalcare l’onda della disabilità o comunque della diversità. Cosa la distingue da questi?
“Posso dire cosa per me significa esprimere questi temi attraverso il racconto cinematografico. In un altro precedente mio cortometraggio i soggetti erano due ragazzi sulla sedia a rotelle che gareggiavano verso un orizzonte indefinito. Oggi va di moda occuparsi della disabilità come fosse un filone da seguire. Occorrerebbe penso maggiore serietà nell'affrontare questi temi.”
Maggiore serietà e soprattutto sensibilità, mi permetto di aggiungere, che lei riesce a infondere nei suoi lavori. Mi piace moltissimo l'immagine dell'orizzonte indefinito nel corto che poc'anzi ha citato, immagine che ho ritrovato nella cura degli spazi ben presentati in Liberi di sorridere. Da questo lavoro emerge una visione della vita positiva.
Qual è Il suo rapporto con la spiritualità?
“Io ho un rapporto vivo con la mia spiritualità. Mi confronto con me stesso spesso ponendomi in discussione. La spiritualità è la sorgente di vita dell'individuo e non ha nulla a che vedere con la religione. La religione tende a dividerci, la spiritualità unisce, accomuna.”
Sono decisamente d'accordo con lei. Cambiando argomento, perchè le grandi dive agli esordi del cinema sono ritenute tuttora intramontabili?
"Perché si riferiscono a un'epoca che ha siglato l'inizio del cinema, e il punto di partenza di un percorso resta impresso nell'immaginario collettivo. In seguito è arrivata la televisione e il modo di concepire la pellicola ha iniziato a trasformarsi. Poi col digitale siamo arrivati a una vera e propria rivoluzione. Tutto ora sembra più tangibile, ma non lo è. È qui l'illusione. Tutto sembra oggi conquistabile ed è proprio in questo che si evidenzia il confronto con il passato. Il mondo del divismo appartiene a un'epoca in cui le attrici erano collocate su un altro piano rispetto a quello della quotidianità e inducevano pertanto a sognare, anche se in molti casi il clamore intorno a loro era esagerato.”
C’é chi sostiene che parlare oggi di divismo sia un controsenso. Si riconosce in questo?
“Sicuramente, anche se a livello di bravura il cinema italiano nello specifico vanta un gruppo di attori che si discosta dalla media per doti superiori. Il punto è che oggi se sei fuori da determinati giri non lavori.”
Cosa sente di dover dire alle aspiranti attrici di oggi?
"Molte ragazze sentono il bisogno di apparire a tutti i costi e puntano sulla bellezza. crescendo però capita che si accorgano di voler continuare nel cinema per propria scelta, mostrando impegno e anche bravura. Purtroppo a livello generale la società tende a dare un'importanza sempre maggiore alla bellezza esteriore e non va bene. Mi sento allora di suggerire alle ragazze di puntare anche sull'intelligenza che in ogni caso fa la differenza.”
Mi sembra giustissimo. Cosa invece, regista Romano, sente di voler suggerire all'umanità di oggi?
“Oggi c'è veramente un grande bisogno di umanità. Di ritrovarsi al di fuori dei canali social. Stiamo perdendo il valore che può avere il contatto reale tra due persone, la bellezza di uno sguardo. Questa umanità’ si sta disumanizzando attraverso l'uso estremo dell'elettronica ormai pervasivo e invasivo.”
Proprio così, aggiungo io. Questa umanità non solo si sta disumanizzando, ma sta andando ben oltre i confini propri, per varcare la soglia del transumanesimo che ci vedrà sempre più affini all'universo robotico e sempre più distanti dalla natura umana.
Mi congedo dal regista Romano ringraziandolo per aver affrontato insieme a me in questa intervista temi profondi spesso tralasciati da una logica consumistica che tende a non avere più memoria delle necessità profonde dell'uomo. La società oggi manovra la cultura che preferisce affacciarsi su quegli orizzonti schiavi dell'angosciante richiamo della materialità, lasciando l'essere umano sempre più solo, privo della sua libertà, nonché del suo sorriso.