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La fotografia carismatica di Nicola Scanga. La finestra come spazio e approdo
Avere fede significa accettare l'incomprensibile e andare oltre le contraddizioni. Avere fede è dunque, non arrestarsi davanti ai limiti imposti dalla religione, ma cogliere il respiro di una presenza che soverchia ogni cosa e le dà respiro dall'interno.
Lavorare e costruire attraverso l'infinito che si agita in ogni finitudine e con mezzi finiti è compito dell'artista che non potrebbe creare né comunicare se non avesse in sé il credo profondo nel proprio infinito. Polemizzare tramite l'arte, sfogarsi e demolire aprendo squarci di bellezza è dell'artista che ha evidentemente in sé presente l'archetipo della finestra.
Ogni finestra la concepiamo tale perché apre su sconfinamenti di orizzonti vicini o lontani. Poche volte invece consideriamo la finestra un mezzo indispensabile a slanciarci verso un viaggio che ci inoltri nella conoscenza spontanea e profonda di noi stessi. Imparare a guardarsi dentro non appartiene alla logica dello specchio che accoglie e nutre una configurazione estetica del proprio io. Una concezione estetica che può sfociare nel narcisismo. La finestra è il mezzo sottile e preparatario a un approccio sacro con sé stessi. Le finestre murata di alcune fabbriche sacre e lasciate tali nel tempo, riflettono nel buio ogni atteggiamento di preghiera e ritualistico al fine di far ridondare nella cassa di risonanza dell'anima ogni anelito verso l'Assoluto. La finestra a campana e ad arco di nicchie ed edicole votive richiama e lascia risplendere nella nudità levigata del muro quanto in noi è racchiuso e che con un moto di commozione allaga, riportandosi alla superficie.
La fotografia induce anche a questo. A riprendere il filo con sé stessi attraverso la perlustrazione minuziosa di una ripresa esterna. Che sia un'inquadratura ampia su paesaggi o lo scatto che immortala una semplice immagine del quotidiano, la fotografia è un'ancora di richiamo alle parti più segrete di noi stessi con le quali ancora nella liturgia spontanea della quotidianità riusciamo a emozionarci.
Emozionarsi è scovare sé stessi. Lasciar emergere brandelli di noi al lento richiamo di quanto accade oltre noi ed è specchio di un naturale incontro tra le parti viventi. Un sincrono che abbraccia tutti e apre al dialogo. È quanto ci porge la fotografia carismatica di Nicola Scanga che con la punta affinata di uno scalpello lima i giochi di luce senza artefare nulla. È una fotografia religiosa la sua. Una pietra adagiata nella valle del tempo capace con i suoi flussi e ritorni di ricondurci sempre alle origini dalle quali l'artista e nello specifico Nicola Scanga riesce a spiccare arditi voli che lo portano a definirsi nel confronto col mondo. Altrove.
Da qui comprendiamo la ragione delle cornici create opportunamente da Nicola e che non coprono la Bellezza di quanto da lui immortalato. Anzi, l'una diversa dall'altra, tutte indirizzano verso una lettura interpretativa che non soffoca la suggestione dell'osservatore ma funge da occhio magico rivolto al Sé.
Author: Ippolita Sicoli
Responsabile del Supplemento di Cultura "La finestra sullo Spirito" del quotidiano online "ilCentroTirreno.it"
Docente della Federiciana Università Popolare, Specializzata in Discipline Esoteriche, Antropologia, Eziologia e Mitologia, ha partecipato in qualità di relatrice a convegni e conferenze.
Ha pubblicato le seguenti opere: “Il canto di Yvion - Viaggio oltre il silenzio” prima edizione Wip Edizioni 2003, seconda edizione Ma.Per. Editrice 2014. Il romanzo “Storia di Ilaria e della sua stella” Edizioni Akroamatikos 2008. La raccolta di racconti per ragazzi “Storie di pecore e maghi” Ed. Albatros 2010. Il romanzo “Il solco nella pietra” Editore Mannarino 2012. Il saggio antropologico “Nel ventre della luce” Carratelli Editore 2014.