L'Autunno è la stagione in cui le corazze cedono e la roccia mostra la sua friabilità denudandosi nelle notti cieche. Il silenzio si fa tempesta assordante che spinge a cercare lontano, altre vedute a cui conferire profondità.
Gli attrezzi agricoli sono anch'essi armatura che scava e lavora per protrarre la luce nelle esistenze. Gli alberi cedono le loro vesti mirabolanti, prima di chiudersi in una solenne preghiera. Le rocce splendono bianche sotto i raggi di luna, un disco di pietra che prepara alle sorti dell'inverno.
I frutti precipitano spaccando la parte molle e mostrano la loro stoica resistenza a ciò che va in frantumi. Occorre essere roccia per resistere al tempo e avere una voce dai toni lunghi. Una voce che percuota gli abissi e temperi le agitazioni dell'anima.
È la verità che ci chiama dall'orizzonte basso, riconducendoci alla nostra collocazione. Non può esserci verità se non nel legame tra chi siamo e dove ci troviamo e il luogo vero della verità è quello circuito dall'amore.
La Verità è pungente, ha una voce secca che spacca la pietra e spezza la sete. È disperazione che porta alla prevaricazione e assume i conturbanti aspetti della satira. Usiamo spesso menzionare la figura del Satiro in rapporto a quanto ci hanno lasciato trasparire miti e credenze sulle figure straordinarie che animano boschi e natura, a metà strada tra l'uomo e la bestialità selvaggia, ossia primordiale. Il Satiro appare un ribelle insaziabile, un motteggiatore irriverente che disturba e dileggia ogni principio di sofisticazione che allontani l'uomo dal primigenio regno. Suona pifferi, agita campanelli. È burbero come un orco e villoso come un capriccioso orsacchiotto. Eppure, nella sua selvatichezza ruvida richiama a sé stuoli di vergini bellissime e la patria natia dei miti, come i luoghi belli, madidi di rugiada che lo contengono e lo preservano.
Chi è il Satiro dunque? È colui che ci mostra gli albori del mondo prima che la luce del sole ferisse col suo abbaglio accecante. È la verità associata alla semplicità e già la radice del nome c'immette alla sua identità. Satiro proviene dall'indoeuropeo "Sat" che significa propriamente "quello che uno è" rimettendo al centro il legame essere luogo di appartenenza. È la personificazione delle radici che la Scienza ha ritrovato nei nostri progenitori più antichi a cavallo tra gli ominidi e noi. Si rende invisibile e sa quando e come e a chi comparire, e la sua irreperibilità lo lega all'oscurità delle grotte o tane. Ha l'aspetto vagamente umano ed è più simile alle capre che in passato si distinguevano dalle pecore per sapersi azzardare sui becchi rocciosi e per l'ardita selvatichezza.
La tragedia nella sua definizione ci riporta al regno selvaggio delle capre. Tragedia, appunto "Canto dei capri" è il tramite rivoluzionario rispetto al mito, che porta l'uomo a evadere dai cancelli dei propri limiti per accedere a Dio. Il Satiro è un personaggio tragico, di rottura col presente. Egli è la rivelazione mostruosa al centro di ogni cammino iniziatico di disgiunzione dalla personale profanità. Bisogna aspirare ad essere interi, superando le proprie fratture e abbracciando le radici che dal cielo portano alla terra e viceversa. Questo suggerisce il Satiro spesso affiancato dalla figura di Dioniso o Bacco. L'irrequietezza, l'ebbrezza sono l'eco della selvaggia origine terrena che va abbracciata e coltivata per ambire al cielo che si stende su di noi con le sue vaste braccia.
Il Satiro smaschera la maschera. Egli è e ci chiama a confrontarci con lui, ma non tutti sono preparati ad affrontarlo. Ecco pertanto l'associazione al diavolo e a Baphomet. Cos'è il diavolo nell'accezione comune se non la cantina chiusa dell'inconscio in cui non abbiamo il coraggio di tuffarci, e portare a riva i relitti di vergogne e delusioni mai accettate?
L'arte serve a questo, a renderci puri. Ad aprirci alle carezze con cui togliere la fuliggine nera da quanto non abbiamo il coraggio di guardare e che invece aspetta noi per essere recuperata e con lei farci splendere.