La bellezza dev'essere toccante. Altro dallo stupore che poi non lascia segni e colma di vuoti e delusione. I Giapponesi convertono la loro malinconia in bellezza conferendo alla prima riflessi d'argento. La cultura giapponese si fonda sul senso della bellezza che non è mai eccessiva ridondanza che si distacca dal reale.
Il reale per il popolo nipponico è essenzialmente natura che va quindi assaporata nella sua compiutezza e nel suo silenzio. La bellezza è un'aura che sta all'uomo indossare e la melodia della lingua, gli ideogrammi tracciati di un raffinatezza impeccabile, sono ode e ricordo, altresì slanciamento del quotidiano verso la bellezza che pregna e governa ogni cosa.
Gli haiku, poesie brevi composte di 17 sillabe splendono per il senso compiuto. Possono essere d'amore, ispirate all'amicizia o alla Natura, e ogni mora include il senso del compiuto che impedisce alla bellezza di sfuggire dalla comprensione umana e di diventare altro. Gli haiku sono punti di sosta nella frenesia quotidiana. Fotogrammi carpiti all'ordinarietà che quindi consentono di penetrare tra i veli della vita e di cogliere nella semplicità la profondità del mistero. È un ricentrarsi in sé stessi stimolato dai passi generosi e leggeri che la vita compie nella nostra sfuggenza. In questa visione, non è la vita a fluire lontano dall'uomo ma è l'uomo ad essere rapito dal superfluo al punto da distrarsi dall'essenziale che gli viene ricondotto attraverso questa forma quasi impalpabile di poesia. Non è indifferente la cultura giapponese al palpito delle ali di farfalla, al brusio dei primi raggi sulla pelle dei fiori timidi a dischiudersi. La Natura è timida e necessita dei suoi tempi al contrario della sciatteria annoiata e affrettata della nostra quotidianità che ci spreme, invogliandoci a dare di più svuotandoci dall'interno. E così, dimentichiamo il nostro valore e ciò si esprime negli abiti che mancano di un'accurata selezione. Il vestito poggia sulla sostanza che deve proteggere e dischiudere al mondo. È quanto il Giappone, nonostante l'accelerazione capitalistica, ha salvaguardato uscendo dalle discquisizioni puerili e salottiere tra ciò che è volgare e quanto è eccessivo.
La giustezza prima della giustizia, al contrario della Cina che ha tramutato l'aggressività in coscienza artistica con le dovute distonie.
Per alcuni versi il Giappone ricorda la Grecia antica della poesia ermetica, precisa e concisa. Ma mentre la Grecia di Mimnermo ma anche di Saffo creava minuziosi legami tra la natura e l'angoscia umana ponendo le basi alla poesia matura delle epoche successive in Occidente, il Giappone vela e disvela ricreando il fascino dell'erotismo che pregna la vita stessa e non scade mai nel rumore o nel male di vivere. Il tono rimane elevato come filamenti di bianco che uniscono le nubi.
Se c'è una pietra che rappresenta il Giappone, questa è la perla che rimanda alla luminescenza lunare e alla sua discrezione notturna.
Giustezza più di giustizia o prima di giustizia che per il Mondo Greco rimanda agli studi accademici e scultorei puntando sulla fisicità anatomica e visiva, come testimonia l'arte di Fidia a cui sono attribuiti i Bronzi di Riace. Per il Giappone l'arte è tenuta a liberare poesia e leggerezza, a trascendere la materia pur nelle sue encomiabili forme. Il senso di giustezza lo si conquista nell'animo, oltrepassando i confini di geometrie e proporzioni materiche che comunque sono di stimolo all'idea sognante di bellezza.
Solo verso Dio e gli spiriti trapassati le note si fanno da argento in oro acceso. La bellezza sublimata all'ennesima potenza è espressione di superiorità altisonante e irraggiungibile e qui il Giappone a proposito dell'arte sacra irrompe come un fiume in piena, donadosi in tutto e per tutto già agli albori della sua antichità. Dio è il Cielo con la sua corte di spiriti. È il di più e l'incommensurabile da cui tutto scivola come coltre bianca e leggera che a lui intona continue e tenere odi.
Il rigore della riflessione ellenica si spinge a ricreare Dio nella misura dell'infinito e a rappresentare dentro i margini di uno spazio calcolato quella precisione e indiscussa qualità di proporzioni che pone la bellezza ad affermare la perfezione e a collocare l'uomo al centro. La giustezza è quindi la misura da non sforare e violare. L'equilibrio a cui tende in secondo luogo l'idea di giustizia. "La virtù è nel giusto mezzo."
Così come "L'uomo è la misura di tutte le cose", sono concetti basilari della cultura classica che riecheggeranno nei secoli successivi invitando l'uomo a conquistare il suo spazio al centro del Cosmo. La visione antropocentrica che ammiriamo nell'uomo Vitruviano parte da questi postulati greci e porterà l'artista e lo scienziato a compiere arditi voli verso l'intemperanza e gli eccessi che partendo da Umanesimo e Rinascimento confliggeranno con i principi della riflessione ermetico magica del Seicento.