"Mese" significa raccolta. Esso includeva non solo i riferimenti alla produttività agricola, ma anche alle eventuali festività che lo contraddistinguevano. Va detto che i nostri antichi predecessori erano molto più festaioli di noi.
Avevano la percezione della festa al fine di una vita armonica. "Armonia" per gli antichi significava essenzialmente "serenità", ossia, dimorare in una condizione di riposo costante, possibile solo se si ingraziavano il favore degli dei. Festeggiare significava in primis omaggiare la vita, da qui il ringraziamento agli dei ai quali devolvere offerte in natura.
Se non gioisci, la fortuna ti volta le spalle. È questo tra i detti più antichi che ancora ricorrono tra le cosiddette pillole di saggezza, che sembra andare controcorrente rispetto al pensiero odierno che tende a separare drasticamente la festa dal lavoro. Per gli antichi il lavoro produce il senso della festa che si ritrova quindi nel lavoro. La vendemmia, la raccolta dei frutti e delle olive... erano giornate di sodo lavoro percepito come festa. Era la conseguenza del contatto stretto uomo Natura. In questa la bellezza e il lavoro vanno in armonia e per lavoro l'uomo antico intendeva non stare mai fermo. Il riposino pomeridiano sotto l'albero, la pennichella erano spinti dalla necessità di concedersi qualche momento per rifocillarsi e, eccezion fatta per gli schiavi, l'idea che gli antichi lavorassero più di noi è sbagliata. La Natura è lavoro continuo che si tramuta in festa di colori e gioia. La festa è quindi il rovescio della medaglia del lavoro e nel tempo, prendendo esempio dalla Natura, diventa esternazione della bellezza nutrita in seno alla Natura dalle origini del mondo e quindi, percepita come sacra. La dea Madre adorna di fiori che ritroviamo in tutte le religioni primitive esprime il bisogno di dare, implicito alla natura, che si traduce in vita, amore e bellezza.
Se ci soffermiamo a guardare pitture e bassorilievi che riproducono scene di lavoro nei campi, non cogliamo segni di appesantimento che invece notiamo nelle scene in cui sono presenti animali di fatica come buoi o asini. Ci colpisce la serenità e l'armonia collettiva. Il profumo di una gioia impensabile se ci rapportiamo alla difficoltà dell'epoca caratterizzata dalla mancanza di mezzi meccanici e dell'ancora rara ruota. Ci rimane oggi di allora il sapore della gioia associata alla vendemmia in alcune aree del Sud in cui i ritmi lenti sono una dominante. La stessa aria festaiola si respira nella tradizione della salsa ancora in voga presso molte famiglie del Sud Italia che ancora usano riunirsi per la spremitura dei pomodori. Per traslato, anche la giornata dedicata all'uccisione di maiali o di specie ittiche come tonni e pesce spada ha il suo cerimoniale di festa che converte la fatica in gioia. Ma nel rito di uccisione di animale si possono fare delle associazioni con i riti agricoli della raccolta, tenendo però conto delle debite differenze. Innanzitutto, l'uccisione dell'animale, rituale di gruppo, non consta della presenza di donne e bambini e richiede molta concentrazione da parte dei partecipanti che sono suddivisi per competenza ed esperienza. Il momento della festa è successivo e riguarda la conversione in cibo dell'animale ucciso. I riti di lavoro agricoli invece, sono comunitari nel vero senso della parola e tutti vi partecipano già da bambini. Il canto che intonano e li accompagna, oltreché a scandire nel ritmo il lavoro impegnativo, rappresenta una forma d'integrazione con i suoni della Natura e un decantare la generosità di costei che si offre a baciare tutti i sensi.